La domanda di pronuncia pregiudiziale posta dinanzi alla Corte di Giustizia ha origine da un ricorso proposto dall’Union de Televisiones commerciales asociadas (Uteca) avverso un decreto regio spagnolo che impone agli operatori televisivi, di destinare, una quota del 5 per cento dei loro ricavi dell’esercizio finanziario precedente al finanziamento della produzione di lungometraggi e di cortometraggi cinematografici e di film per la televisione europei ed il 60 per cento di tale finanziamento a produzioni la cui lingua originale è una delle lingue ufficiali del Regno di Spagna.
La normativa comunitaria
In base ad alcuni passaggi della direttiva 97/36 "l’obiettivo di sostenere la produzione audiovisiva in Europa può essere perseguito negli Stati membri anche tramite la definizione di una missione di pubblico interesse per taluni enti televisivi comprendente l’obbligo di contribuire in misura rilevante all’investimento nella produzione nazionale locale". L’articolo 3 della medesima direttiva dispone che: "per ciò che si riferisce alle emittenti televisive soggette alla loro competenza, gli Stati membri hanno la facoltà di prevedere norme più rigorose o più particolareggiate nei settori inclusi nella presente direttiva".
La normativa nazionale
Il regio decreto n. 1652 del 2004 costituisce parziale attuazione della normativa spagnola in materia di televisione e di cinematografia. Tale normativa è costituita dalla legge n. 25 del 1994, come modificata dapprima dalla legge n. 22 del 1999, e successivamente dalla legge n. 15 del 2001, il cui articolo 5, secondo comma prevede che: " gli operatori televisivi… riservano annualmente una quota almeno pari al 5% del totale delle entrate registrate nel corso dell’esercizio finanziario precedente, conformemente al proprio conto di gestione, al prefinanziamento della produzione di lungometraggi e di cortometraggi cinematografici e di film per la televisione europei… Il 60% di tale finanziamento è destinato a produzioni la cui lingua originale è una delle lingue ufficiali parlate in Spagna". Per i ricavi di esercizio si intendono quelli derivanti dalla programmazione e dalla gestione dei canali televisivi che danno luogo all’obbligo contemplato dalla norma citata, riportati sui conti di gestione sottoposti a verifica contabile.
Le questioni pregiudiziali sollevate
L’Uteca ha proposto un ricorso contro la normativa interna spagnola ritenendola in contrasto con il diritto comunitario. In particolar modo, il tribunale supremo spagnolo, nel sospendere il procedimento giurisdizionale pendente dinanzi ad esso, ha sottoposto alla Corte di Giustizia alcune questioni pregiudiziali:
1) se l’articolo 3 della direttiva n. 97/36 consenta agli Stati membri di stabilire un obbligo in forza del quale gli operatori televisivi sono tenuti a destinare una percentuale dei ricavi di esercizio al prefinanziamento di film europei per il cinema e per la televisione;
2) in caso affermativo, se sia conforme alla citata direttiva e alla disciplina comunitaria, una normativa nazionale che, oltre a prevedere il suddetto obbligo di prefinanziamento, riservi il 60 per cento di quest’ultimo a opere la cui lingua originale è una lingua spagnola;
3) se tale ultimo obbligo, costituisca un aiuto di Stato a favore dell’industria, secondo l’articolo 87 del Trattato Ce.
Le valutazioni della Corte
La direttiva non contiene alcuna disposizione che stabilisca in quale misura uno Stato membro possa imporre agli operatori televisivi di destinare una parte dei ricavi di esercizio al finanziamento anticipato di film europei o la cui lingua originale è una delle lingue ufficiali di tale Stato membro. Inoltre, l’articolo 3, n. 1, della direttiva, dà facoltà agli Stati membri, con riferimento alle emittenti televisive soggette alla loro competenza, di prevedere norme più rigorose o più particolareggiate nei settori inclusi in tale direttiva, purchè nel rispetto delle libertà fondamentali garantite dal Trattato Ce. Da ciò consegue che gli Stati membri sono in linea di principio competenti ad adottare una tale misura a condizione che rispettino le libertà fondamentali garantite dal Trattato.
Prestazione di servizi, stabilimento, circolazione di capitali e di lavoratori
Con riferimento alla prima delle due prescrizioni della norma interna, non è dato riscontrare una restrizione ad alcuna delle libertà fondamentali garantite dal Trattato. Per contro, con riferimento alla seconda ipotesi, sembra "prima facie" configurarsi una restrizione alle varie libertà fondamentali di matrice comunitaria (di prestazione di servizi, di stabilimento, di circolazione di capitali e di circolazione di lavoratori). Tuttavia, una limitazione a tali libertà può essere giustificata laddove essa risponda a ragioni imperative di interesse pubblico, tra le quali è da annoverare l’obiettivo di uno Stato membro di difendere e promuovere una o più delle sue lingue ufficiali. A tal proposito, con riferimento alla fattispecie in esame, la misura imposta dall’ordinamento spagnolo riguarda sostanzialmente (essendo il 60 per cento del 5 per cento) il 3 per cento dei ricavi di gestione, non potendosi affermare che tale percentuale sarebbe sproporzionata rispetto all’obiettivo perseguito.
Quando si configura l’aiuto di Stato
Quanto alla riconducibilità dell’ipotesi ‘de qua’ al genus di aiuto di Stato, si rammenta che, secondo costante giurisprudenza, la qualificazione di aiuto richiede che sussistano tutti i presupposti previsti all’articolo 87 CE e cioè, deve trattarsi di un intervento dello Stato effettuato mediante risorse statali, poter incidere sugli scambi tra gli Stati membri, concedere un vantaggio al suo beneficiario e, da ultimo, falsare o minacciare di falsare la concorrenza.
La Corte non ritiene sussistere i presupposti perché la fattispecie in esame sia da considerare un aiuto di Stato.