La domanda di pronuncia pregiudiziale a cui hanno dato odierna risposta i giudici comunitari verte sull’interpretazione degli artt. 6, n. 2, e 17, nn. 2 e 6, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari ed è stata presentata nel contesto di una controversia (procedimento C-515/07) concernente la riscossione posticipata in materia di imposta sul valore aggiunto, insorta tra un’associazione olandese delle organizzazioni di agricoltori e giardinieri e l’Amministrazione finanziaria dello stesso paese.
Il protagonista della controversia
L’associazione, attiva nel settore agrario, fornisce determinate prestazioni di servizi individuali a favore sia dei propri soci che di terzi, per i quali fattura un rimborso. Nell’esercizio della propria attività, finalizzata alla tutela degli interessi degli associati, l’associazione acquista beni e servizi utilizzati sia per le sue attività economiche soggette a Iva sia per altre attività che non presentano alcun collegamento con le prime, chiedendo la detrazione totale degli importi dell’Iva versati a monte per detti beni e servizi, tra i quali ricadono quelli riguardanti attività relative alla tutela degli interessi generali dei suoi soci.
La posizione dell’Amministrazione fiscale
Il fisco dei Paesi Bassi notificava alla associazione un avviso di accertamento in cui gli importi dell’Iva pagata a monte sulle attività relative alla tutela degli interessi generali dei soci erano imputati proporzionalmente ai redditi dell’associazione stessa generati da tali attività. Il contribuente proponeva dunque reclamo contro tale avviso di riscossione posticipata, reclamo che non veniva però accolto dall’Amministrazione. L’associazione quindi adiva le vie legali. Il tribunale olandese, omologo della nostra Corte di Cassazione, chiamato in causa dopo che i giudici di merito avevano dato ragione all’Amministrazione finanziaria, rilevava che la controversia nella causa principale concerneva la detrazione di importi di Iva calcolati in sede di impegno di spese sostenute per acquisire beni e servizi utilizzati sia per attività economiche soggette a IVA che per altre operazioni senza alcun legame con le prime. Inoltre si è chiesta se l’associazione potesse o meno legittimamente destinare al suo patrimonio d’impresa beni diversi dai beni di investimento e dai servizi cosi da poter detrarre immediatamente la totalità dell’Iva versata sul loro acquisto, anche se parzialmente utilizzati nell’ambito di attività prive di qualsivoglia rapporto con le prestazioni imponibili.
Il trasferimento agli eurogiudici
La questione è quindi finita al vaglio dei giudici europei chiamati a sindacare principalmente se gli articoli 6, n. 2, e 17, nn. 1, 2 e 6, della sesta direttiva debbano essere interpretati nel senso che è consentito a un soggetto passivo destinare integralmente alla sua impresa non soltanto i beni di investimento ma tutti i beni e servizi utilizzati sia a fini interni all’impresa che a fini ad essa estranei, e di detrarre immediatamente ed integralmente l’imposta sul valore aggiunto applicata per l’acquisto dei beni e servizi medesimi. Per ciò che concerne la normativa inerente alla causa in esame, rileviamo come l’articolo 2 della sesta direttiva preveda che sono soggette all’imposta sul valore aggiunto le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del Paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale; il successivo articolo 6 assimila alle prestazioni di servizi a titolo oneroso l’uso di un bene destinato all’impresa per l’uso privato del soggetto passivo o per l’uso del suo personale o, più generalmente, a fini estranei alla sua impresa qualora detto bene abbia consentito una deduzione totale o parziale dell’imposta nonchè le prestazioni di servizi a titolo gratuito effettuate dal soggetto passivo per il proprio uso privato o ad uso del suo personale o, più generalmente, per fini estranei alla sua impresa. Resta ferma la possibilità per gli Stati membri di derogare alle disposizioni ora viste, a condizione ovviamente di non dare luogo a distorsioni di concorrenza. Infine, l’art. 17 della direttiva dispone che il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall’imposta di cui è debitore, nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, l’Iva dovuta o assolta per le merci che gli sono o gli saranno fornite e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo.
L’analisi della normativa olandese
Passando invece alla normativa olandese, l’articolo 2 della legge del 1968 stabilisce che l’imposta che ha colpito le cessioni di beni e le prestazioni di servizi all’imprenditore, gli acquisti intracomunitari di beni effettuate nonché le importazioni di merci che gli erano destinate è detratta dall’imposta da versare sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi. Secondo il successivo articolo 15 l’imposta detratta dall’imprenditore ai sensi dell’articolo 2 è l’imposta che altri imprenditori gli hanno fatturato secondo le norme applicabili nel corso del periodo relativo alla dichiarazione per i beni ed i servizi che gli sono stati forniti, nei limiti in cui l’imprenditore utilizzi tali beni e servizi nell’ambito della sua impresa.
La posizione degli eurogiudici
I giudici sovranazionali hanno in primo luogo chiarito come la decisione a loro chiesta sia diretta ad accertare in sostanza, la portata del diritto alla detrazione dell’Iva, previsto dagli articoli 6 e 17 della direttiva, in una situazione in cui il soggetto passivo abbia utilizzato beni e servizi per l’acquisto dei quali ha versato a monte l’Iva dovuta, sia per i fini della sua impresa sia, a fini ad essa estranei, ovvero ai fini di operazioni diverse da quelle imponibili. Il sistema delle detrazioni previsto dalla sesta direttiva, hanno ricordato i giudici, è inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’Iva dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche, intendendo garantire, di conseguenza, la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’Iva; ne consegue dunque che qualora beni o servizi acquistati da un soggetto passivo vengano impiegati per esigenze di operazioni esenti o non rientranti nell’ambito di applicazione dell’Iva, non può aversi né imposta a valle né detrazione dell’imposta a monte.
Attività soggette a Iva e non
La Corte ha poi precisato che attività come quelle consistenti, per una associazione, nella tutela degli interessi generali dei suoi soci, non costituiscono, allorquando non consistono in cessioni di beni o prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso, attività soggette all’Iva (articolo 2, n. 1, della sesta direttiva). Per quanto riguarda invece il fatto che queste attività possano essere o meno considerate come esercitate a fini estranei (articolo 6, n. 2 della direttiva), gli eurogiudici hanno ritenuto che le attività non economiche non ricadono nella sfera di applicazione della direttiva, precisando come il sistema delle detrazioni stabilito dalla direttiva riguardi l’insieme delle attività economiche di un soggetto passivo, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di tali attività, purché queste ultime siano di per sé soggette a Iva, con la conseguenza che l’imposta che ha gravato a monte sulle spese sostenute da un soggetto passivo non può dare diritto a detrazione nella misura in cui si riferisca ad attività che, in considera
zione del loro carattere non economico, non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva. Nel caso dunque in cui un soggetto passivo svolga contemporaneamente attività economiche, imponibili o esenti da imposta, e attività non economiche che non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva, la detrazione dell’Iva che ha gravato sulle spese a monte è possibile soltanto qualora tali spese possano essere imputate a valle all’attività economica del soggetto passivo. Da ciò ne discende che l’articolo 6, n. 2, lett. a), della direttiva non è volto a stabilire una regola secondo cui operazioni che esulano dall’ambito di applicazione dell’Iva sono considerate svolte a "fini estranei" all’impresa ai sensi di tale disposizione. Tale interpretazione, infatti, avrebbe l’effetto di privare di contenuto l’articolo 2, n. 1, della sesta direttiva.
Per tutto quanto ora visto la corte di giustizia Ue ha reso la propria odierna pronuncia pregiudiziale affermando recisamente che "gli artt. 6, n. 2, lett. a), e 17, n. 2, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE devono essere interpretati nel senso che non sono applicabili all’uso di beni e servizi destinati all’impresa ai fini di operazioni diverse dalle operazioni imponibili del soggetto passivo, atteso che l’imposta sul valore aggiunto dovuta per l’acquisto di tali beni e servizi relativi a dette operazioni non è detraibile".
Nuovo Fisco Oggi