Con la sentenza del 22 dicembre 2008, resa nel procedimento C-48/07, la Corte di giustizia Ue ha sentenziato, in materia di regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, che la nozione di partecipazione nel capitale di una società di un altro Stato membro, ai sensi dell’art. 3 della direttiva del Consiglio n. 90/435/CEE, non comprende la detenzione di quote in usufrutto, precisando però che, conformemente alle libertà di circolazione garantite dal Trattato CE e applicabili alle situazioni transfrontaliere, quando uno Stato membro, al fine di evitare la doppia imposizione di dividendi percepiti, esenta da imposta sia i dividendi che una società residente percepisce da un’altra società residente nella quale detenga quote come proprietaria a pieno titolo, sia quelli che una società residente percepisce da un’altra società residente nella quale detenga quote in usufrutto, tale Stato membro deve applicare, ai fini dell’esenzione dei dividendi percepiti, lo stesso trattamento ai dividendi percepiti da una società stabilita in un altro Stato membro da parte di una società residente che detenga quote come proprietaria a pieno titolo ed a tali dividendi percepiti da parte di una società residente che detenga quote in usufrutto.
L’origine della controversia
La controversia che ha portato alla decisione dei giudici europei ora in commento è insorta tra una società di diritto belga e l’amministrazione fiscale dello stesso paese, vertendo sull’interpretazione dell’art. 3 della direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi. Nella fattispecie, la società belga ha acquisito, per diversi anni, l’usufrutto dei titoli di altra società del medesimo paese (la nuda proprietà degli stessi è stata acquisita ancora da un’altra società) deducendo, nella sua dichiarazione ai fini dell’imposta sulle società, i dividendi così ricevuti a titolo di reddito definitivamente tassato. L’amministrazione delle imposte dirette del Belgio ha negato la validità di tale deduzione, pretendendo il pagamento dell’imposta corrispondente a detti dividendi.
La normativa Ue di riferimento
Per ciò che concerne il contesto normativo di riferimento, rileviamo come l’art. 3 della direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE dispone che la qualità di società madre è riconosciuta almeno ad ogni società di uno Stato membro che soddisfi le condizioni di cui al precedente articolo 2 e che detenga nel capitale di una società di un altro Stato membro che soddisfi le medesime condizioni una partecipazione minima del 25% e che si intende per "società figlia" la società nel cui capitale è detenuta la partecipazione indicata precedentemente. Il successivo art 4, prevede, invece, che quando una società madre, in veste di socio, riceve dalla società figlia utili distribuiti in occasione diversa dalla liquidazione di quest’ultima, lo Stato della società madre si astiene dal sottoporre tali utili a imposizione, ferma restando però la facoltà per quest’ultimo di stabilire che oneri relativi alla partecipazione e minusvalenze risultanti dalla distribuzione degli utili della società figlia non siano deducibili dall’utile imponibile della società madre. In tal caso, qualora le spese di gestione relative alla partecipazione siano fissate forfettariamente, l’importo forfettario non può essere superiore al 5% degli utili distribuiti dalla società figlia.
La posizione del Fisco belga
L’Amministrazione belga delle imposte dirette ha sconfessato la deduzione fiscale operata dalla società sulla considerazione che la detenzione dell’usufrutto delle quote in questione non consente di pretendere la deduzione di cui all’art. 202 del Codice belga dell’imposta sul reddito del 1992, atteso che questa può essere accordata solo al proprietario a pieno titolo delle quote. La Corte d’appello di Liegi, innanzi alla quale pendeva il giudizio, ha deciso di sospendere lo stesso per domandare agli eurogiudici espressamente se il testo dell’art. 202 del Codice belga dell’imposta sul reddito del 1992, richiedendo che il soggetto beneficiario di dividendi detenga una partecipazione nel capitale della società distributrice di tali dividendi, sia compatibile con le disposizioni della direttiva 90/435/CEE relative alle partecipazioni nel capitale, in particolare con i suoi artt. 3, 4 e 5, laddove la suddetta legge belga non specifica chiaramente che la proprietà deve essere a pieno titolo e quindi implicitamente ammetterebbe l’interpretazione datane dalla società ricorrente, in base alla quale la mera titolarità di un diritto di usufrutto sui titoli rappresentativi del capitale comporta il diritto di beneficiare dell’esenzione fiscale sui detti dividendi. Sintetizzando, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la nozione di partecipazione nel capitale di una società di un altro Stato membro, ai sensi dell’art. 3 della direttiva 90/435, comprenda o meno anche la detenzione di quote in usufrutto.
La posizione della Corte di Giustizia
La corte di giustizia Ue, rendendo la propria pronuncia pregiudiziale in data 22 dicembre 2008, ha innanzitutto ricordato come precipua finalità della direttiva 90/435 sia quella di eliminare, instaurando un vero regime comune, ogni penalizzazione a carico della cooperazione tra società di Stati membri diversi rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro e di facilitare in tal modo il raggruppamento di società a livello comunitario. In particolare la direttiva in parola è volta ad eliminare le situazioni di doppia imposizione degli utili distribuiti dalle società figlie alle loro società madri e ad eliminare gli svantaggi per la cooperazione transfrontaliera tra società, svantaggi che derivano dal fatto che le disposizioni fiscali di disciplina dei rapporti tra società madri e società figlie di Stati membri diversi sono, in generale, meno favorevoli rispetto a quelle applicabili alle relazioni tra società madri e società figlie di uno stesso Stato membro.
La "partecipazione nel capitale" tra società madre e figlia
L’art. 3, n. 1, lett. a), della direttiva 90/435 richiede, hanno proseguito i giudici comunitari, che, affinché le sia riconosciuta la qualità di società madre, una società detenga una partecipazione nel capitale di un’altra società, derivandone così che la nozione di "partecipazione nel capitale" ai sensi del detto art. 3 fa riferimento al rapporto giuridico intercorrente tra la società madre e la società figlia. Dalla formulazione di quest’ultima disposizione risulta quindi che essa non ha ad oggetto la situazione in cui la società madre trasferisce ad un terzo soggetto, nel caso in esame a un usufruttuario, un rapporto giuridico con la società figlia, in forza del quale anche detto terzo soggetto potrebbe essere considerato società madre. Di conseguenza, secondo il parere della corte, si evince chiaramente dal testo dell’art. 3 della direttiva 90/435 che la nozione di partecipazione nel capitale di una società, ai sensi di tale disposizione, non ricomprende l’usufrutto detenuto da una società sulle quote del capitale di un’altra società.
Usufruttuario e nudo proprietario
L’usufruttuario delle quote di una società, infatti, riceve i dividendi da essa distribuiti in forza del suo usufrutto e la sua situazione giuridica nei confronti della società figlia non è idonea a conferirgli la quali
tà di socio, dato che tale situazione deriva unicamente dall’usufrutto trasferitogli dal proprietario delle quote nel capitale della società figlia. Conformemente poi all’articolo 4, n. 2, della direttiva 90/435, gli Stati membri conservano la facoltà di prevedere che minusvalenze risultanti dalla distribuzione degli utili della società figlia non siano deducibili dall’utile imponibile della società madre, adottando così misure atte ad impedire che la società madre si giovi di un duplice vantaggio fiscale. L’usufruttuario ha dunque soltanto diritto agli utili distribuiti, laddove gli utili accantonati a riserva spettano al nudo proprietario. Quindi, in caso di distribuzione degli utili, né l’usufruttuario né il nudo proprietario possono giovarsi di un duplice vantaggio fiscale, in quanto il nudo proprietario non riceve utili e l’usufruttuario ha diritto soltanto agli utili distribuiti. Quando la distribuzione di utili genera una minusvalenza della partecipazione, la facoltà conferita a ciascuno Stato membro di prevedere che detta minusvalenza non sia deducibile dall’utile imponibile della società madre può essere attuata solo nell’ipotesi in cui una stessa società riceva gli utili distribuiti e subisca la minusvalenza della sua partecipazione derivante da tale distribuzione. Ciò del resto conferma che il legislatore comunitario ha considerato che la "società madre", ai sensi della direttiva 90/435, sia una stessa e sola società. In base quindi alla formulazione chiara e univoca delle disposizioni della direttiva 90/435, e come corroborato dal loro impianto sistematico, la nozione di partecipazione nel capitale della società di un altro Stato membro di cui all’art. 3 della suddetta direttiva non può essere interpretata nel senso che essa si estenda anche alla detenzione di quote in usufrutto nel capitale di una società di un altro Stato membro, così da ampliare tramite la stessa i relativi obblighi degli Stati membri.
Mauro Di Biasi – Nuovo Fisco Oggi