La condotta omissiva di un pubblico funzionario configura un’ipotesi di danno erariale. E’ il pensiero della Corte dei conti – sezione giurisdizionale per il Lazio – espresso nella sentenza n. 1247, depositata il 23 luglio scorso. Nel concreto, il caso sottoposto al vaglio dei magistrati contabili riguardava l’omissione dell’esame di un avviso di accertamento privo di motivazione che, impugnato dal contribuente in ragione di tale vizio, veniva poi annullato da parte del giudice tributario.
La complessità della vicenda nonché la sua rilevanza in termini di interesse generale impone un esame dettagliato della pronuncia.
I fatti di causa
Nel corso del 2006, a seguito della denuncia della direzione regionale delle Entrate del Lazio, la Procura presso la Corte dei conti rilevava la sussistenza di un’ipotesi di danno erariale per il mancato introito di entrate tributarie, relative a maggiori imposte a carico di una società, oggetto di accertamento (notificato nell’ottobre del 1998) privo di motivazione, e per questo motivo impugnato e annullato con sentenza della Commissione tributaria regionale.
La pubblica accusa contabile individuava il responsabile nell’allora capo reparto reggente l’ufficio finanziario – in quanto lo stesso, all’atto della sottoscrizione dell’avviso di accertamento, avrebbe dovuto verificare che l’atto impositivo contenesse la obbligatoria motivazione – chiedendone la condanna al risarcimento del danno causato all’Amministrazione; danno quantificato in misura pari alla somma delle entrate accertate e non riscosse.
La difesa del funzionario eccepiva, in via preliminare, l’intervenuta prescrizione dell’azione poiché l’Amministrazione avrebbe avuto conoscenza del fatto generatore del danno sin dalla emissione della sentenza di primo grado della Ctp (depositata nel febbraio del 2001), anzi, meglio ancora, sin dalla notifica del ricorso della società (avvenuta nel dicembre del 1998), considerando che l’unico motivo del ricorso medesimo, poi accolto, era la nullità dell’avviso di accertamento.
Priva di pregio, sempre secondo la linea difensiva del convenuto, sarebbe stata poi la sentenza di appello (passata in giudicato nel marzo del 2004), poiché la soccombenza dell’ufficio appellante era da ritenersi per certa e pertanto nulla avrebbe aggiunto ai fatti così come già conosciuti.
La prescrizione sarebbe inoltra maturata anche a voler considerare quale dies a quo il momento del perfezionamento del fatto generatore del danno, che andrebbe individuato non nel solo comportamento omissivo del convenuto, ma anche nei successivi comportamenti omissivi di altri organi e uffici, senza i quali il danno stesso non si sarebbe prodotto.
A tal riguardo, la difesa precisava che il ricorso presentato della società avverso l’atto impositivo privo di motivazioni era stato preso in carico dall’ufficio contenzioso e mai comunicato al reparto di competenza – che, se avvisato tempestivamente, avrebbe ancora potuto rinnovare utilmente l’avviso di accertamento entro i termini di legge – e ciò in palese violazione di un preciso ordine di servizio diramato nel 1997.
Nel merito, la difesa del funzionario eccepiva:
l’esistenza di una motivazione dell’avviso di accertamento, quantunque costituita da un foglio separato regolarmente stampato ma la cui mancata allegazione all’atto impositivo era da attribuire ad altri funzionari
la mancata comunicazione del ricorso prodotto dalla società nel 1998 da parte dell’ufficio contenzioso agli altri reparti interni all’ufficio stesso, in violazione di un ordine di servizio del 1997, la cui osservanza avrebbe permesso all’ufficio medesimo di venire a conoscenza dell’esistenza di una causa di nullità dell’atto impositivo notificato e di provvedere alla sua eliminazione, mediante rinnovo della notifica con regolare motivazione allegata all’atto medesimo
l’erronea quantificazione del danno effettuata dalla Procura, che non avrebbe considerato che l’avviso di accertamento corrispondeva a una semplice pretesa tributaria priva di certezza, a fronte, invece, del sicuro contenzioso tributario che ne sarebbe derivato.
Le motivazioni della Corte dei conti
Iniziamo col dire che il giudice contabile, nel confermare – seppur parzialmente – l’impianto accusatorio pubblico, ha riconosciuto il funzionario convenuto responsabile del danno subito dall’agenzia delle Entrate a seguito dell’annullamento dell’avviso di accertamento, condannandolo al risarcimento del danno, quantificato in via equitativa.
In via preliminare, la Corte ha rigettato l’eccezione di prescrizione.
Ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 20/19494 (“Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei Conti”), il termine quinquennale di prescrizione decorre dal momento in cui sia conoscibile (o effettivamente conosciuto) da parte dell’Amministrazione il comportamento illecito del soggetto legato da rapporto di servizio e il danno abbia assunto il carattere della certezza ed attualità.
La norma citata, infatti, dispone che “il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta”.
Ne deriva che – in ogni ipotesi di responsabilità amministrativa – “…non è sufficiente a dare inizio al periodo prescrizionale il compimento della condotta che si assuma trasgressiva degli obblighi di servizio perché il “fatto”, rilevante per la decorrenza della prescrizione, deve essere considerato nel momento in cui viene a compimento la fattispecie illecita costituita dal “fatto colposo” e dal conseguente “evento dannoso””.
Anche in tema di responsabilità contabile, hanno proseguito i giudici, vale la regola generale dettata dall’articolo 2935 Cc, secondo cui la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
Nella fattispecie in esame, solo con la definizione del giudizio di secondo grado (avvenuto nel novembre del 2002) vi è stata concretezza e attualità del danno; prima di allora, non vi era alcun accertamento definitivo che legittimasse o meno la pretesa tributaria impugnata.
Nel merito, la Corte – nel prendere atto del mancato rinvenimento del fascicolo originale – si è attenuta alle contestazioni della Procura (sulle quali il convenuto non ha fornito una convincente prova contraria), sia in ordine al fatto che l’avviso di accertamento ricevuto dalla società fosse privo di motivazione ab origine, sia sulla circostanza che il convenuto, nella qualità di capo reparto reggente l’ufficio, avesse firmato un avviso di accertamento privo di motivazione, per questo motivo poi annullato dal giudice tributario.
Partendo da queste premesse, i magistrati hanno accolto la tesi della Procura sulla sussistenza della colpa grave del convenuto nella commissione del fatto sopra accertato.
Per la Corte, il funzionario, proprio per la qualità rivestita, “…aveva il dovere di controllare la regolarità formale e sostanziale dell’atto medesimo, dovere da adempiere con tanta maggior cautela quanto maggiore era l’importo della pretesa tributaria. La mancanza della motivazione, e la causa di nullità che tale mancanza ha comportato, sono quindi da imputarsi a colpa grave del convenuto”.
Per completezza di argomentazione, ha contin
ua la Corte, “…anche nel caso in cui la motivazione fosse stata stampata su un foglio diverso e separato dall’accertamento, circostanza che come si è detto non è stata comunque provata nel presente giudizio, rimane egualmente fermo che il convenuto avrebbe dovuto accertarsi della presenza effettiva di tale motivazione, e della sua effettiva allegazione all’atto da notificare, tramite mezzi idonei a dare certezza, nel corpo dell’avviso stesso, della presenza del foglio allegato al momento della sua sottoscrizione (come un riferimento all’allegato stesso, o a motivi contenuti in foglio separato o una numerazione progressiva comprendente l’allegato, o altri mezzi egualmente idonei) dovendosi senz’altro escludere che la modalità della semplice "spillatura", prospettata come ipotesi difensiva dal convenuto per sostenere l’estraneità della sua colpa per eventuali perdite, accidentali o meno, possa essere considerata adeguata a tal fine”.
Infine, sul punto, per i magistrati la grave negligenza nel comportamento del funzionario si rinviene “…sia nella ipotesi prospettata dalla Procura in cui al momento della firma non sussistesse alcuna motivazione in foglio separato, sia nella ipotesi prospettata dalla sua difesa che tale foglio sussistesse, poiché tale sussistenza era da ritenere già a quel momento del tutto precaria e non attestabile con certezza (ed infatti non è stato possibile fornirne la prova né avanti al giudice tributario né nel presente giudizio)…”.
In merito alla seconda e alla terza eccezione sollevata dal convenuto, la Corte – sempre nella impossibilità di procedere ad autonomo accertamento per la assenza degli atti originali – ha ritenuto certo anche il fatto che, al momento della notifica del ricorso della società innanzi al giudice tributario di primo grado, l’Amministrazione finanziaria fosse ancora in termini per rinnovare la notifica dell’avviso di accertamento, con altro avviso regolarmente fornito di motivazione.
Risulta assodato, infatti, che “…i responsabili del suddetto Reparto Contenzioso ben erano in grado di avvedersi che il ricorso era stato prodotto in periodo ancora utile per la amministrazione per azionare la pretesa tributaria con atti regolari…” e che “non avrebbe alcun senso considerare gli Uffici della amministrazione come “comparti separati” i cui doveri si limitano al buon esito delle procedure in carico anche a costo di compromettere, peraltro senza alcuna utilità per queste, le procedure di competenza di altri Uffici”.
Da ciò, può “…definirsi concausale l’omissione del reparto Contenzioso,…” che assume, però, una portata “…quantitativamente maggiore rispetto alla produzione del danno, perché ha avuto l’effetto di rendere definitivi gli effetti che il comportamento del…aveva già prodotto e che invece avrebbero potuto essere rimossi del tutto, per quanto concerne unicamente il vizio di difetto assoluto di motivazione”.
Per la Corte, tale omissione da parte del reparto contenzioso ha inciso fortemente sulla produzione del danno erariale e non può non essere considerata nella valutazione complessiva del danno risarcibile che, per l’effetto, è stato determinato in via equitativa.
Marco Denaro – Fisco Oggi