In caso di disconoscimento delle agevolazioni fiscali in favore di cooperative, la richiesta di parere da parte dell’agenzia delle Entrate all’autorità di vigilanza non solo è facoltativa, ma anche inopportuna.
Vediamo di seguito perché.
La tesi dell’obbligatorietà del parere in questione è innanzitutto superata, in modo chiaro e pacifico, dalla consolidata giurisprudenza di legittimità.
La Cassazione, infatti, con la sentenza 5273/2004, dopo aver richiamato l’eccezione dell’allora ricorrente banca cooperativa, che aveva contestato l’obbligatorietà del parere dell’organo di vigilanza (nel caso di specie, della Banca d’Italia), ha ritenuto la doglianza formulata dal ricorrente non fondata, ricordando come “
L’orientamento al quale si aderisce in questa sede è quello espresso nella sentenza n. 2725/2001, secondo il quale in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’esclusione da parte dell’Amministrazione finanziaria delle agevolazioni tributarie, previste dalla legge a favore delle società cooperative, in conseguenza dell’attività speculativa svolta in concreto dall’ente, non richiede il parere del Ministero del lavoro o degli altri organi di vigilanza. Pertanto è legittimo l’accertamento tributario a carico di una società cooperativa, con il quale venga individuato un reddito da assoggettare per intero ad Irpeg ed Ilor perché prodotto attraverso una normale attività imprenditoriale, cui si sia proceduto senza la richiesta del parere, obbligatorio anche se non vincolante, del Ministero del lavoro o degli altri organi di vigilanza”.
La Corte ha poi spiegato la differenza tra due distinti momenti rilevanti ai fini della necessità o meno del parere:
quello nel quale l’ente, che pretende di avere i requisiti della mutualità e che chiede le agevolazioni, viene a esistenza
quello nel quale l’ente opera, in concreto, in maniera difforme da quanto è previsto nel suo statuto e comunque non rispettando i requisiti di mutualità.
Per i giudici, infatti:
per il primo momento, il parere dell’organo di vigilanza appare indispensabile e obbligatorio, posto che si tratta di fare una valutazione sulle caratteristiche dell’ente che viene a esistenza
per il secondo momento (quello che concerne la valutazione dei comportamenti effettivamente tenuti), un tale parere può invece anche mancare, avendo l’Amministrazione finanziaria tutti i poteri e le competenze necessarie per accertare, da sola, se i comportamenti sono conformi o meno alle previsioni di legge e di statuto e se, quindi, le condizioni della mutualità “sono state in fatto osservate”.
Il problema nella specie, allora, non è l’obbligatorietà o meno del parere dell’organo di vigilanza, ma la verifica della fondatezza delle pretese dell’ufficio.
Del resto, a ben vedere, tale questione riguarda solo apparentemente un adempimento procedurale.
La linea difensiva dei contribuenti in questi casi si basa, infatti, proprio sulla tesi che l’Amministrazione finanziaria non può entrare nel merito della spettanza “in concreto” delle agevolazioni fiscali delle cooperative, essendo sufficiente il rispetto formale dell’inclusione degli obblighi di legge all’interno dello Statuto, che avrebbero, in sostanza, valore di presunzione assoluta di spettanza delle agevolazioni.
Alla base di tale ragionamento vi è la considerazione che l’Agenzia non avrebbe le cognizioni tecniche per entrare nel merito della normativa di specie, di competenza del solo organo di vigilanza, a cui, proprio per questo, andrebbe richiesto obbligatoriamente il preventivo parere.
La tesi corretta è invece esattamente contraria a tale impostazione concettuale.
L’equivoco che può aver spinto i contribuenti alla suddetta errata conclusione è una sentenza della Cassazione, la 10596/2002, la quale aveva evidenziato la natura obbligatoria di tale parere.
Ma, a ben vedere, anche tale pronuncia aveva confermato invece la linea sopra descritta: “In tema di agevolazioni tributarie e con riguardo alle agevolazioni previste in favore delle società cooperative, l’art. 14 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, consente all’Amministrazione finanziaria, con riferimento al singolo periodo d’imposta, di disconoscere i benefici (previo parere, obbligatorio, ma non vincolante, del Ministero del lavoro) allorquando accerti, in relazione all’attività in concreto svolta, la mancata osservanza dei principi di mutualità previsti dall’art. 26 del D.Lgs. C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577. Ne consegue che, ai fini anzidetti, non occorre la cancellazione della società dal registro prefettizio e dallo schedario generale, la quale, ai sensi dell’art. 11 del citato D.Lgs. C.P.S. n. 1577 del 1947, è disposta con decreto del Ministero del lavoro in caso di gravi irregolarità (non necessariamente consistenti nell’inosservanza dei requisiti di mutualità) e determina la decadenza definitiva dalle agevolazioni fiscali, non limitata al singolo periodo d’imposta”.
E’ chiaro allora che il parere è imprescindibile solo quando viene contestata la sussistenza dei requisiti mutualistici formali, di cui all’articolo 26 del Dlgs 1577/1947.
Tale parere è dunque necessario quando si intervenga in merito ai requisiti civilistici e, cioè, quando si contesti il rispetto o meno del divieto di distribuzione di dividendi superiori alla ragione dell’interesse legale ragguagliato al capitale effettivamente versato, o del divieto di distribuzione delle riserve ai soci durante la vita sociale, o della previsione della devoluzione cosiddetta “disinteressata” in caso di scioglimento; non quando si ponga in discussione il rispetto dei requisiti fiscali.
A tal proposito, ancora la Cassazione, con la sentenza 15924/2001, aveva del resto espressamente evidenziato che “Ai sensi dell’art. 14 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, l’Amministrazione finanziaria può accertare direttamente la mancanza dei requisiti per l’applicabilità dei benefici fiscali concessi alle cooperative edilizie, non essendo al riguardo necessario l’intervento del Ministero del lavoro e della previdenza sociale che, in base all’art. 26, comma 4, D.Lgs .C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, ha il solo compito di verificare l’esistenza, nello statuto sociale, delle clausole stabilite dalla legge perché una cooperativa possieda i caratteri di mutualità, e non anche quello di riscontrare la conformità dell’attività svolta al contenuto di dette clausole”.
La Corte anche in questo caso non poteva essere più chiara.
Come nella successiva pronuncia n. 2714/2002, laddove ha ulteriormente evidenziato che “Il parere del Ministro del Lavoro o degli altri organi di vigilanza è richiesto solo al fine dell’accertamento, in sede di procedimento amministrativo tributario, dei presupposti di applicabilità delle agevolazioni, o dei requisiti della mutualità ex art. 26, D.Lgs. C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, o condizioni di applicabilità delle agevolazioni, che riguardano l’appartenenza del soggetto passivo di imposta al genere della cooperativa ai sensi dell’art. 14, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, ma non al fine, che è di competenza esclusiva delle autorità amministrative tributarie, di accertare i presupposti di applicabilità delle agevolazioni tributarie previste per le specifiche specie di cooperative…”.
Hanno ricordato, infatti, i giudici che la diversità dell’oggetto da accertare e la s
ua limitazione agli elementi del rapporto giuridico tributario renderebbero illogica la “condivisione del potere tributario” con l’organo di vigilanza, la cui competenza è, per materia, oggettivamente distinta e limitata.
In conclusione, va ricordato che la Cassazione, con la recente ordinanza 3033/2008, ha evidenziato come la vigilanza prevista dal Dlgs 1577/1947 presentasse molte falle “che evidenziano la patologia di un sistema, le cui violazioni non vengono accertate in sede amministrativa, ma soltanto a seguito di intervento della Polizia tributaria ovvero degli Uffici Finanziari preposti al controllo del gettito fiscale. L’inadeguatezza di tale sistema di controllo è dimostrata dal fatto che le imprese in forma cooperativa operano, assumendo spesso rilevanti dimensioni, in tutti i settori, ivi compreso quello bancario e finanziario, senza alcun perseguimento di fini esulanti da quello del massimo profitto e della conquista di vaste aree di mercato”.
Insomma, l’autonomia accertativa dell’agenzia delle Entrate in questo campo, almeno laddove riguardi la sussistenza “in concreto” dei presupposti per la spettanza delle agevolazioni fiscali, è piena e completa, non essendo subordinata ad alcun parere o intervento esterno di soggetti privi della necessaria competenza fiscale, prerogativa esclusiva dell’Amministrazione finanziaria.
Giovambattista Palumbo – Fisco Oggi