Per l’Iva pagata in misura maggiore rispetto al dovuto, è il cedente (o il prestatore del servizio) e non l’acquirente (o il committente) a essere legittimato ad agire nei confronti dell’Amministrazione finanziaria per chiedere il rimborso dell’imposta. La Corte di cassazione (sentenza n. 21214 depositata il 6 agosto 2008) è così tornata su un tema che, ancorché pacificamente risolto da costante giurisprudenza, ancora non sembra totalmente chiaro alla platea di contribuenti che si trovano costretti ad affrontarlo.
Nei giudizi che vengono instaurati innanzi alle Commissioni tributarie è consueto constatare che l’acquirente, che ritiene di aver pagato al cedente o al prestatore del servizio un importo dell’Iva superiore a quanto dovuto, o addirittura non dovuto affatto, propone ricorso avverso il rifiuto del rimborso opposto dall’agenzia delle Entrate.
Non si può escludere che tale atteggiamento processuale sembri logico, ma non è corretto.
Infatti, è necessario sottolineare che nell’Iva esistono due rapporti distinti e separati che legano i soggetti passivi e l’Amministrazione finanziaria. Uno è il rapporto che nasce tra il cedente o prestatore e il cessionario o committente, l’altro nasce solo tra il primo dei due soggetti passivi e l’Erario. In modo molto semplificativo, si intuisce subito che il primo prevede tutta la fase dell’applicazione dell’Iva, mentre il secondo la riscossione del tributo, che avviene attraverso il versamento da parte, appunto, di colui che la stessa imposta ha applicato.
Proprio in virtù di questa distinzione, il soggetto legittimato a ottenere il rimborso dell’Iva "versata" in eccesso non può che essere colui che ha "versato" l’imposta all’Erario, mentre il soggetto passivo che ritiene di aver sostenuto un importo per l’Iva che non era tenuto a pagare deve chiederne il rimborso al soggetto che ha provveduto a incassarlo, cioè a colui che ha assoggettato a Iva il corrispettivo attraverso l’emissione del documento fiscale.
Importante è sottolineare che ciò è vero sia quando l’inciso è un soggetto Iva, sia quando si tratti di un consumatore finale che viene a configurarsi come soggetto Iva di fatto.
Quanto finora illustrato si riflette anche sul piano della tutela giurisdizionale; il soggetto passivo di diritto o di fatto, infatti, nel caso in cui ritenga che l’acquisto del bene, ovvero la prestazione del servizio, non doveva essere assoggettato a Iva, non è titolare dell’azione nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, ma può solo agire, in sede civile, nei confronti del cedente o prestatore. Di contro, il solo soggetto che, attraverso la giurisdizione tributaria, può instaurare un giudizio nei confronti dell’Amministrazione medesima, volto a ottenere una sentenza di condanna al rimborso dell’imposta indebitamente versata, è colui che materialmente ha versato all’Erario l’importo addebitato al soggetto passivo, di diritto o di fatto che sia.
La posizione assunta dai giudici di piazza Cavour nella sentenza n. 21214/2008 è conforme alle molte altre pronunce finora intervenute in materia.
Tra le più importanti, ricordiamo la sentenza n. 5733, emessa dalle sezioni unite il 10 giugno 1998, secondo cui "Il d.p.r. n. 633/1972 dispone: che l’IVA è dovuta dal cedente, il quale è quindi il contribuente di diritto (art. 17); che lo stesso deve rivalersi sul cessionario, il quale quindi è il contribuente di fatto (art. 18); che quest’ultimo, se a sua volta soggetto d’IVA può portare in detrazione l’IVA da lui pagata in rivalsa al cedente (art. 19)…L’operazione imponibile cioè da luogo a tre distinti rapporti: uno di diritto tributario tra il cedente e l’Amministrazione finanziaria in ordine al pagamento dell’imposta; uno di diritto tributario tra il cessionario e l’Amministrazione finanziaria in ordine alla detrazione dell’imposta assolta in via di rivalsa; uno di diritto privato tra il cedente e il cessionario in ordine alla rivalsa".
Da ciò, la Corte ha tratto le seguenti conseguenze: "…le tre azioni sono autonome …e quindi non interferiscono tra loro, con le conseguenze: che l’Amministrazione non potrebbe opporre al cedente che agisca per il rimborso il fatto che costui si sia rivalso sul cessionario; che il cedente non potrebbe opporre al cessionario che agisca in restituzione il fatto che esso (cedente) abbia pagato l’imposta all’Amministrazione; che il cessionario non potrebbe opporre all’Amministrazione che escluda la detrazione né il fatto che lui abbia pagato in via di rivalsa al cedente né il fatto che costui abbia pagato l’imposta".
Vale la pena, poi, di richiamare tra le altre sentenze che hanno ripercorso tale strada, la n. 208 del 14 maggio 2001, delle stesse sezioni unite, e la n. 3306 del 19 febbraio 2004, della sezione tributaria. Quest’ultima pronuncia, in particolare, ha ribadito che "nel sistema dell’IVA, soggetto passivo del tributo, e quindi legittimato a richiederne il rimborso, ove il pagamento non sia dovuto, è – ai sensi dell’art. 17 del d.P.R. n. 633 del 1972 – il cedente del bene o il prestatore del servizio, non già il cessionario od il committente, i quali ultimi, quali semplici soggetti d’IVA , cioè soggetti solo economicamente incisi e consumatori finali, rimangono estranei al rapporto con l’Amministrazione finanziaria".
A completezza e, forse, per la definitiva conclusione della vicenda, segnaliamo che sulla questione si è registrata anche una pronuncia della Corte di giustizia delle comunità europee.
Nella pronuncia emessa dai giudici di Lussemburgo il 15 marzo 2007, nel procedimento C-35/05, testualmente si legge che "I principi di neutralità, effettività e non discriminazione non ostano ad una legislazione nazionale, quale quella in esame nella causa principale, secondo cui soltanto il prestatore di servizi è legittimato a chiedere il rimborso delle somme indebitamente versate alle autorità tributarie a titolo di imposta sul valore aggiunto, mentre il destinatario dei servizi può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del prestatore".
Alla inevitabile conclusione, rendendosi forse conto delle difficoltà che la decisione assunta implica, la Corte lancia una raccomandazione agli Stati membri, aggiungendo che "nel caso in cui il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto divenga impossibile o eccessivamente difficile, gli Stati membri devono prevedere, in ossequio al principio di effettività, gli strumenti necessari per consentire a tale destinatario di recuperare l’imposta indebitamente fatturata".
Armando Sappino – Fisco Oggi