Non va esclusa la responsabilità della società di persone per i fatti illeciti commessi dall’ex amministratore nell’esercizio dei poteri di rappresentanza conferitigli.
E’ questo il principio espresso dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 23988, depositata il 24 settembre 2008.
La controversia trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento, con il quale l’agenzia delle Entrate aveva accertato un maggior reddito d’impresa, a seguito del rinvenimento, presso altra ditta, di fatture fittizie emesse dall’ex amministratore di una Snc.
Nel giudizio di merito, la società aveva eccepito che la condotta illecita dell’ex amministratore non poteva essere estesa ai soci, in quanto questi ultimi erano estranei alla vicenda, essendo subentrati nella compagine sociale dopo i fatti contestati.
L’opposizione del contribuente veniva accolta dalla Commissione tributaria provinciale, con sentenza confermata dai giudici di appello.
In particolare, la Ctr rilevava che la condanna in sede penale dell’amministratore della società per l’emissione di fatture fittizie "non autorizzava a presumere che i proventi dell’attività illecita fossero stati acquisiti dalla società e che costituissero reddito per i singoli soci".
Nel ricorso in Cassazione, l’agenzia delle Entrate deduceva che i proventi illeciti, fino a prova contraria, "devono ritenersi acquisiti dalla società e ripartiti fra i singoli soci" (ripartizione "per trasparenza" – cfr articolo 5, comma 1, del Tuir).
La normativa di riferimento
L’articolo 5, comma 1, del Tuir prevede che "i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputabili a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili".
La norma prevede, sostanzialmente, che il reddito di partecipazione agli utili del socio di una società di persone, oltre a costituire, ai fini Irpef, reddito proprio del contribuente, è a lui imputato sulla base della presunzione di effettiva percezione.
Pertanto, in caso di rettifica del reddito della società da parte dell’Amministrazione finanziaria, si ricollegano alla citata presunzione di effettiva percezione, sia la volontarietà della condotta del socio, consistente nel non avere incluso nella propria dichiarazione anche il reddito derivatogli dalla partecipazione agli utili occultati dalla società, sia l’applicabilità della sanzione per l’infedeltà della dichiarazione stessa.
L’articolo 2291 del Codice civile, inoltre, dispone che "nella società in nome collettivo tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali".
Dalla lettura combinata delle due norme si evince che il rapporto organico tra società e amministratore non viene meno nemmeno quando quest’ultimo operi illegittimamente, purché, ovviamente, il comportamento illecito dell’amministratore risponda a un interesse riconducibile, anche indirettamente, all’oggetto sociale.
La sentenza
La Cassazione, con la sentenza in esame, ha accolto il ricorso presentato dall’Amministrazione, affermando che "il fatto illecito dell’amministratore di una società commesso nell’ambito dell’attività sociale e per il raggiungimento degli scopi sociali costituisce illecito della società ed impegna tutti i soci illimitatamente responsabili, salvo che la responsabilità di chi ha agito debba considerarsi esclusivamente personale in quanto correlata ad un atto doloso, intenzionalmente diretto alla lesione dell’altrui diritto".
Pertanto, hanno concluso i giudici di legittimità, i proventi illeciti conseguenti a operazioni commerciali fittizie, poste in essere dall’ex socio amministratore nell’ambito dei poteri di rappresentanza conferitigli, costituiscono, in mancanza di prova contraria, reddito per i singoli soci che sono illimitatamente responsabili delle conseguenze dell’illecito (anche se subentrati dopo i fatti illeciti contestati all’ex amministratore – cfr articolo 2269 cc).
Francesca La Face – Fisco Oggi