La targa di uno studio professionale ha funzione prettamente pubblicitaria, rendendo manifesto lo svolgimento di una determinata attività in quel luogo. La stessa va pertanto assoggettata alla specifica imposta comunale.
È, in sintesi, il principio espresso dalla Cassazione con la sentenza 22572 dell’8 settembre, chiamata in causa da uno studio di dottori commercialisti accertato dall’amministrazione comunale per l’affissione di una targa professionale.
Lo studio impugnava la cartella notificatagli asserendo che presupposto per l’applicazione del tributo sarebbe non già la mera affissione ed esposizione di una targa, bensì la diffusione di un vero e proprio messaggio pubblicitario.
Il giudice di primo grado, sposando le argomentazioni del contribuente, annullava l’atto impositivo.
Avverso la decisione, l’ente ricorreva dinanzi alla Commissione di secondo grado, che riformava la sentenza impugnata: la targa professionale assolve una funzione prettamente pubblicitaria, rendendo manifesto l’esercizio di una determinata attività nel luogo ove la stessa è affissa.
I professionisti, allora, si rivolgevano alla Cassazione, denunciando violazione e falsa applicazione della norma sul presupposto per l’applicazione dell’imposta (articolo 5 del Dlgs 507/1993).
Con sentenza 22572 dell’8 settembre, la Suprema corte ha confermato la decisione di secondo grado: "la targa professionale assolve il compito di rendere pubblico l’esercizio dell’attività svolta in quel luogo, e questo concetto è da ritenersi compreso nella previsione dell’art. 5 d.lgs. 15.11.1993, n. 507 che considera rilevanti i messaggi diffusi nell’esercizio di un’attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi, ovvero finalizzati a migliorare l’immagine del soggetto pubblicizzato", smentendo inoltre le tesi di parte ricorrente, secondo cui l’attuale disciplina sarebbe del tutto diversa da quella previgente: "la disciplina sulla pubblicità ex d.lgs. 507/93 ricalca, nelle linee guida che qui interessano, la previgente disciplina ex Dpr 639/72". Non è affatto vero – hanno proseguito – che, nel vigore della precedente disciplina (Dpr 639/1972), le targhe e le insegne professionali sarebbero state di per se stesse equiparate a strumenti pubblicitari e dunque pacificamente assoggettate a imposizione, mentre, con la nuova normativa (Dlgs 507/1993), esclusivamente le targhe e le insegne recanti precisi e completi messaggi pubblicitari, tali da sollecitare la domanda di beni o servizi da parte del pubblico o promuovere grandemente l’immagine di colui che le espone, andrebbero a scontare l’imposta.
La Cassazione ha anche precisato che, in materia di imposta sulla pubblicità (applicabile quando la sollecitazione avviene in luoghi pubblici o aperti al pubblico), il presupposto dell’imponibilità è rappresentato dall’astratta possibilità del messaggio di arrivare a un numero indeterminato di destinatari.
Va ricordato che, ai sensi dell’articolo 17 del Dlgs 507/1993, sono esenti dall’imposta targhe e insegne individuanti sedi di comitati, associazioni, fondazioni e altri enti non aventi scopo di lucro, nonché quelle da esporre obbligatoriamente per legge o in base a regolamenti. Infine, fino al 2001, la tassa non era dovuta per le targhe con superficie inferiore ai 300 cm quadrati. Tale limite è stato innalzato dalla Finanziaria 2002 a 5 metri quadrati.
Mauro Di Biasi – Fisco Oggi