Le spese sostenute da una azienda farmaceutica per ospitare, a pranzo o a cena, presso ristoranti i medici intervenuti alle riunioni informativo-scientifiche, volte a diffondere e illustrare caratteristiche, qualità e applicazioni terapeutiche dei farmaci commercializzati, devono considerarsi spese di rappresentanza, soggette ai prescritti limiti di deducibilità, e non spese di pubblicità.
Il vitto, inoltre, non può essere ricompreso nel concetto di spesa di rappresentanza integralmente deducibile, se di valore inferiore alle vecchie 50mila lire, in quanto l’articolo 74, comma 2, del Tuir (vigente all’epoca dei fatti) non considera tutti i beni, ma solo quelli distribuiti gratuitamente con riferimento a oggetti materiali, mentre il vitto, al pari dell’ospitalità in genere, non riguarda un bene ma un servizio.
A tali conclusioni è pervenuta la Corte di cassazione con la sentenza n. 21270 del 7 agosto 2008.
La controversia
Una società farmaceutica impugnava innanzi alla Ctp di Milano un avviso d’accertamento, con cui l’ufficio, sulla base di una verifica, condotta dalla Guardia di finanza, aveva recuperato a imposizione, quali spese di rappresentanza non interamente deducibili, in base all’articolo 74 del Tuir, vigente ratione temporis:
le spese (comprese quelle inferiori a 50mila lire) sostenute dalla società per ospitare a pranzo e a cena, presso ristoranti, medici intervenuti alle riunioni informative scientifiche
le spese sopportate dalla medesima per la partecipazione di medici esterni e per la contribuzione a convegni promossi e organizzati da terzi
le spese sostenute per stand e servizi espositivi in occasione dei medesimi convegni.
I giudici di primo grado respingevano il ricorso; parzialmente favorevole al contribuente era la sentenza di secondo grado, unicamente con riguardo all’annullamento della ripresa relativa agli stand e ai servizi espositivi.
La società proponeva ricorso in Cassazione, deducendo la violazione degli articoli 74 del Tuir, e 19, comma 14, della legge 67/1988 (relativa alla deduzione da parte delle imprese farmaceutiche delle spese per la promozione e l’organizzazione di convegni scientifici).
La sentenza
La Suprema corte ha respinto il ricorso della società, con argomentazioni che rinvengono il loro fondamento nell’articolo 74 del Tuir (attualmente articolo 108) e nell’articolo 19, comma 14, della legge 67/1988, anche sulla base dell’orientamento giurisprudenziale che si è andato consolidando sull’esatta qualificazione da attribuirsi alle spese di pubblicità e di rappresentanza (Cassazione, sentenze 11126/2007, 10959/2007, 9567/2007, 25053/2006).
Giova a tal proposito evidenziare come il corretto inquadramento delle spese di ospitalità in occasioni di fiere o congressi (rimborsi spese viaggio, vitto e alloggio) tra le spese di pubblicità (ossia quelle spese che l’impresa sostiene per far conoscere l’esistenza di un bene o di un servizio, a potenziali consumatori o utenti, al fine di stimolare la formazione o l’intensificazione della domanda sul mercato) o tra quelle di rappresentanza (ossia quelle spese dirette a costituire, mantenere o aumentare il prestigio dell’impresa), ha sempre presentato notevoli difficoltà interpretative.
In alcuni casi, tali spese, anche se sostenute per elargire gratuitamente delle prestazioni a terzi e non solo alla clientela attuale o potenziale, sono state considerate spese di pubblicità, in quanto presentavano nel caso concreto dei chiari scopi promozionali volti alla presentazione dei propri prodotti, all’incremento delle vendite dell’impresa (cfr Cassazione, sentenza 7803/2000).
In altri casi, invece, le spese di ospitalità sono state ricondotte tra le spese di rappresentanza tutte le volte in cui presentavano una natura di mera accoglienza ed erano essenzialmente volte alla formazione e al miglioramento dell’immagine aziendale, senza presentare alcuna correlazione con i ricavi (cfr parere del Comitato consultivo per le norme antielusive del 11 maggio 2004, n. 13).
La riconduzione delle predette spese nell’alveo delle spese di pubblicità o di rappresentanza non costituisce, peraltro, una questione meramente accademica, considerato il loro diverso trattamento fiscale.
L’articolo 74, comma 2, del Tuir (ora articolo 108), prevedeva, infatti, che le spese di pubblicità o propaganda fossero interamente deducibili, mentre quelle di rappresentanza comportassero una deducibilità limitata a un terzo del loro ammontare, peraltro frazionabile in cinque esercizi (le spese di rappresentanza, per effetto delle modifiche intervenute con la Finanziaria 2008, sono diventate interamente deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento. La totale deducibilità, tuttavia, è subordinata al fatto che la spesa risponda a requisiti di inerenza e congruità che saranno stabiliti con decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze, tenendo conto anche della natura e della destinazione della spesa stessa, del volume dei ricavi dell’attività caratteristica dell’impresa e dell’attività internazionale dell’impresa).
La qualificazione delle spese di ospitalità come spese di rappresentanza o di pubblicità appare più complessa per le imprese operanti nel settore farmaceutico, in occasione di convegni e congressi, soprattutto considerando la particolare natura dei farmaci che non possono considerarsi alla stregua di un qualsiasi prodotto commercializzato, in un contesto in cui si vuole evitare, anche in ossequio al principio costituzionale di tutela della salute, che il paziente si trasformi in un consumatore guidato nell’acquisto più che da direttive mediche, da forme più o meno invasive di marketing.
Come in precedenza affermato dalla stessa Suprema corte (sentenza n. 15268/2000), l’attività organizzativa da parte di imprese farmaceutiche di congressi, convegni e viaggi è, infatti, inerente all’attività d’impresa farmaceutica solo quando tali spese non contrastino con la disciplina della pubblicità dei farmaci e la medesima società dimostri che il sostenimento delle stesse presenti un rilevante interesse scientifico e non si traduca in una mera pubblicità commerciale del farmaco.
Il consumo dei prodotti farmaceutici, infatti, come evidenziato dalla Cassazione nella sentenza n. 25053/2006, “non è regolato dal criterio del piacere, ma da quello dell’utilità mediata dalla classe medica, in quanto accade molto spesso che la decisione circa l’assunzione di un farmaco non sia rimessa al consumatore bensì ad un professionista specializzato” (si pensi ai medicinali rimborsati dal Ssn prescritti da un medico).
In sostanza, secondo i giudici, nell’ipotesi di imprese farmaceutiche, si è in presenza di una particolare forma di pubblicità, diretta unicamente ai medici, la cui finalità non è “reclamizzare astrattamente il prodotto decantandone le virtù o la piacevolezza visiva della confezione, ma unicamente informare il professionista della natura e delle utilità farmaceutiche del prodotto, in quali ipotesi risulti indicato, in quali no o addirittura nocivo” (Cassazione, n. 25053/2006).
Ne consegue che costituiscono spese di pubblicità tutte le spese volte a rendere noto un farmaco presso la classe medica, anche attraverso l’organizzazione di riunioni e incontri di breve durata e con la partecipazione di un numero ristretto di specialisti. Mentre donativi e omaggi, pranzi e cene in occasione di convegni e congressi scientifici, pur costituendo una spesa inerente all&rs
quo;attività d’impresa, con l’innegabile vantaggio di favorire la partecipazione dei medici, non sono spese di pubblicità, poiché non sono necessarie al buon esito del convegno e a garantire l’ampia conoscenza e divulgazione scientifica del prodotto.
Tali spese, poiché si riflettono sull’immagine e sul prestigio della casa farmaceutica, costituiscono, pertanto, spese di rappresentanza.
Ulteriori considerazioni vanno fatte con riguardo alla riconduzione dell’offerta di “vitto” d’importo inferiore a 50mila lire nell’alveo delle spese ex articolo 74, comma 2, ultimo capoverso, del Tuir (si ripete, ora 108), norma che, con riferimento alle “spese di rappresentanza presunte”, sostenute dall’impresa per i beni distribuiti gratuitamente d’importo unitario inferiore a 50mila lire (limite innalzato dalla Finanziaria 2008 a 50 euro), prevede il beneficio della deduzione integrale.
Secondo la Cassazione, il “vitto” non può essere compreso nel concetto di “spese di rappresentanza” deducibili integralmente, poiché la norma non considera tutti i “beni” (nella nozione civilistica desumibile dall’articolo 810 del Codice civile) ma solo quelli “distribuiti gratuitamente”, con chiaro riferimento a oggetti materiali, come reso evidente dall’espressione “anche se recano emblemi, denominazioni o altri riferimenti atti a distinguerli come prodotti dell’impresa”.
Il vitto, invece, proprio perché non si traduce nella semplice unione di ingredienti alimentari, ma comprende anche la preparazione, la distribuzione ai commensali, analogamente a quanto accade per l’ospitalità, non riguarda un bene, ma un servizio e, quindi, un fatto diverso dalla gratuita distribuzione prevista dalla norma summenzionata.
Con la sentenza 21270/2008, la Suprema corte ha affrontato, infine, la corretta interpretazione da attribuirsi all’articolo 19, comma 4, della legge 67/1988 (disposizione abrogata dalla Finanziaria 2002), che limita la deducibilità delle spese, sostenute da aziende produttrici di farmaci, volte alla promozione e/o all’organizzazione di congressi e/o convegni che siano caratterizzati dal riscontro, in senso positivo, della finalità di rilevante interesse scientifico perseguita e, in senso negativo, dall’esclusione di scopi pubblicitari.
Il significato logico dei verbi “promuovere” e “organizzare”, secondo i giudici, è diverso dalla “partecipazione” ai convegni e/o ai congressi, per cui “la deducibilità deve essere riconosciuta soltanto per le spese affrontate dall’azienda farmaceutica al fine di “promuovere” e/o di “organizzare” convegni e/o congressi con le finalità previste, e non anche alle spese (salvo che per quelle di “viaggio” espressamente richiamate), da chiunque sopportate (quindi anche dagli stessi promotori od organizzatori), dirette soltanto a favorire la partecipazione di congressisti e/o di convegnisti che non siano, ovviamente, già legati all’azienda organizzatrice con un qualche rapporto obbligatorio”.
Emanuele Cormio