Al contratto di lavoro subordinato è possibile apporre un termine a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se si riferiscono all’ordinaria attività del datore. Dopo lo stralcio dei commi che erano stati aggiunti nel corso del passaggio alla Camera, questa è una delle modifiche che il decreto legge 112/08 introduce al decreto legislativo 368/01.
Il contratto a tempo determinato ha trovato una nuova, recente, regolamentazione con la legge 247/07 che, in considerazione di un non sempre appropriato uso di questo tipo di contratto, pone un freno all’eccesso di rinnovi e proroghe. In quell’occasione, con una tecnica legislativa non usuale, anziché riscrivere l’articolo 1 del decreto si era aggiunto il comma "01", che afferma: «Il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato», lasciando immutata la numerazione successiva.
Una modifica di peso tesa a rafforzare questo concetto, se solo si considera che il preambolo all’accordo quadro Ces-Unice-Ceep allegato alla direttiva 1999/70/CE, recepita dal decreto legislativo 368/01, contiene il riconoscimento delle parti firmatarie che i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno a essere la forma comune dei rapporti di lavoro fra datori e lavoratori.
Il legislatore del 2001, nel sostituire la precedente norma del 1962 che, tassativamente, elencava i casi in cui era consentito apporre un termine al contratto, ha optato per una clausola generale che richiede una sorta di "giustificato motivo" per apporre tale termine, sindacabile in sede giudiziale.
È però l’imprenditore che, nel programmare la sua attività economica, stabilirà se il termine appare giustificato da una di quelle ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive che la disposizione richiede. Che tali ragioni possano essere riferite all’ordinaria attività dell’impresa è ora meglio precisato, ma è anche confermata dal legislatore la modifica introdotta dalla legge 247/07 all’articolo 1 del decreto legislativo 368/01 con l’inserimento del comma 01, con ciò confermando il principio in esso contenuto che, di fatto, subordina il contratto a termine a quello a tempo indeterminato.
Peraltro, l’imprenditore che opera in un determinato settore economico non può non effettuare le sue scelte e non preparare la sua organizzazione in relazione a quelli che sono i fenomeni propri del settore, tra cui le fluttuazioni del mercato e gli incrementi di domanda, soprattutto se questi si presentano come ricorrenti in determinati periodi dell’anno.
Far fronte a questi fenomeni costituisce pertanto il compito naturale di ogni impresa, il contenuto della sua attività normale, senza di che la sua stessa efficienza e a volte la sua stessa ragione di esistere sarebbero irrimediabilmente compromessi. In questo senso si è più volte espressa la stessa Corte di cassazione.
Continueranno, pertanto, a persistere problemi pratici di non facile soluzione come, per esempio, quando un’attività potrebbe essere organizzata sia con un contratto a termine che con un part-time di tipo verticale. D’altra parte, con l’entrata in vigore del decreto legislativo 368/01 è venuta meno la necessità che le ragioni che consentono l’apposizione del termine abbiano il carattere dell’eccezionalità, straordinarietà e imprevedibilità che era propria della precedente legge, la 230/62.
Fra le modifiche introdotte dall’articolo 21 del decreto legge 112, una in particolare riguarda il limite massimo di 36 mesi, che la legge 247/07 ha introdotto in caso di successione di più contratti a tempo determinato stipulati tra le stesse parti per lo svolgimento di mansioni equivalenti.
Con la modifica, questo limite potrà essere derogato dai contratti collettivi, stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale, con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Dagli stessi contratti potrà essere anche diversamente disciplinato il diritto di precedenza che l’articolo 5, comma 4-quater del decreto legislativo 368/01 riconosce ai lavoratori che abbiano prestato attività per almeno sei mesi con un contratto a termine, in caso di assunzioni a tempo indeterminato con riferimento alle mansioni già espletate.
Alfredo Casotti e Maria Rosa Gheido – Il Sole 24 Ore