La disciplina IVA per le transazioni dell’oro è prevista dall’art. 10, comma 11 del dpr 633/1972 che prevede l’esenzione IVA per le seguenti operazioni:
a) le cessioni di oro da investimento
b) le intermediazioni relative alle precedenti operazioni
c) alcune operazioni finanziarie riferite all’oro da investimento ad esempio le operazioni previste dall’articolo 81, comma 1, lettere c-quater e c-quinquies, del vecchio TUIR.
Per oro da investimento si intende:
– l’oro in forma di lingotti o placchette di peso comunque superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi (anche se rappresentato da titoli)
– le monete d’oro di purezza pari o superiore a 900 millesimi, coniate dopo il 1800.
La disciplina delle transazioni in oro è stata riformata dalla Legge 17 Gennaio 2000, n. 7 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 16 del 21 gennaio 2000 che quale stabilisce cosa debba intendersi per oro e quali sono i requisiti richiesti per effettuare tale commercio in via professionale. L’articolo 1 recita:”1. Ai fini della presente legge con il termine “oro” si intende:a) l’oro da investimento, intendendo per tale l’oro in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato dell’oro, ma comunque superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli; le monete d’oro di purezza pari o superiore a 900 millesimi, coniate dopo il 1800, che hanno o hanno avuto corso legale nel Paese di origine, normalmente vendute a un prezzo che non supera dell’80 per cento il valore sul mercato libero dell’oro in esse contenuto, incluse nell’elenco predisposto dalla Commissione delle Comunità europee ed annualmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, serie C, nonchè le monete aventi le medesime caratteristiche, anche se non ricomprese nel suddetto elenco; con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica sono stabilite le modalità di trasmissione alla Commissione delle Comunità europee delle informazioni in merito alle monete negoziate nello Stato italiano che soddisfano i suddetti criteri;b) il materiale d’oro diverso da quello di cui alla lettera a), ad uso prevalentemente industriale, sia in forma di semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, sia in qualunque altra forma e purezza.”
Sempre l’articolo 1 indica quali sono i requisiti necessari per poter effettuare il commercio di oro ovvero : “L’esercizio in via professionale del commercio di oro, per conto proprio o per conto di terzi, può essere svolto da banche e, previa comunicazione all’Ufficio italiano dei cambi, da soggetti in possesso dei seguenti requisiti:a) forma giuridica di società per azioni, o di società in accomandita per azioni, o di società a responsabilità limitata, o di società cooperativa, aventi in ogni caso capitale sociale interamente versato non inferiore a quello minimo previsto per le società per azioni;” Il legislatore con questi articoli ha voluto non concedere dubbi sia su come identificare la natura dei beni che possono essere qualificati come oro, sia le caratteristiche che un azienda deve assumere per poter esercitare lecitamente tale commercio. Infatti stabilendo che le aziende siano configurate come “società per azioni, o società in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperativa dotate di un capitale sociale interamente versato non inferiore a quello minimo previsto per le società per azioni” esclude de facto le ditte individuali.
Altra condizione necessaria per commerciare in oro è la comunicazione, ed il rilascio di relativa autorizzazione, da parte della Banca d’Italia (rammento che dal 1 gennaio 2008 l’Ufficio Italiano Cambi è soppresso e le sue funzioni sono esercitate dalla Banca d’Italia -D.lgs. 21/11/2007 n. 231-) Come visto la legge è molto chiara riguardo le caratteristiche necessarie per effettuare tale commercio e sui requisiti imprescindibili che vengono posti a condizione di chiunque compia questa scelta aziendale.
Negli ultimi anni si è assistito ad una affermazione massiccia su tutto il territorio nazionale di negozi comunemente denominati “compro oro”, specializzati nell’acquisto di preziosi da parte di privati cittadini. Nulla vieta, anche al titolare di una ditta individuale, di acquistare oreficeria per poi successivamente rivenderla, sia all’ingrosso che al minuto, fermo restando i “paletti” imposti appunto dalla Legge 7/2000. Purtroppo però, moltissimi gestori di questi negozi, assumono in toto le funzioni e le competenze commerciali proprie di un operatore professionale, pur non attendendo minimamente ai requisiti imposti dalla legge, operando quindi in modo del tutto abusivo. Infatti l’abitudine invalsa, è quella di acquistare oggetti preziosi usati dai privati cittadini (o da altri compro oro) e rivenderli direttamente a fonderie o aziende specializzate nel recupero di metalli preziosi. Nulla potrebbe vietare questo comportamento se i beni ceduti fossero qualificati per quello che realmente sono, ovvero “oreficeria usata” quindi oggetti finiti, ma nella più ampia casistica vengono invece qualificati come “rottami”. Questo espediente, di mutare arbitrariamente la natura dei beni, consente di eludere l’IVA beneficiando di quanto stabilito dalla Legge n. 633/77 articolo 17 comma 5 la quale contempla: “In deroga al primo comma, per le cessioni imponibili di oro da investimento di cui all’articolo 10, numero 11), nonché per le cessioni di materiale d’oro e per quelle di prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi, al pagamento dell’imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato. La fattura, emessa dal cedente senza addebito d’imposta, con l’osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 21 e seguenti e con l’indicazione della norma di cui al presente comma, deve essere integrata dal cessionario con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nel registro di cui agli articoli 23 o 24 entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese; lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro di cui all’articolo 25” Con questo articolo di legge viene concesso al cedente di non corrispondere l’IVA in fattura, poichè i beni acquistati per loro stessa natura non possono avere altra destinazione che la lavorazione industriale. Beni quindi nettamente diversi dall'”oreficeria usata” che può invece avere infiniti cicli di vita e, conseguentemente, assoggettata al regime IVA ordinario.
Il gestore di un semplice “compro oro”, intenzionato ad operare secondo la legge, dovrebbe cedere i preziosi per quelli che realmente sono, ovvero oggetti finiti, specificando nella fattura la reale natura dei beni quindi “oreficeria usata” , ed applicare all’importo della fattura l’aliquota IVA ordinaria o, come concesso per i beni usati, a margine. Invece in molti casi l’operatore abusivo acquista i preziosi (non rottami) da privati cittadini e successivamente li rivende direttamente alle fonderie o altre aziende specializzate, attribuendo alla natura dei beni ceduti, sia sul Documento di Trasporto e poi sulla Fattura, la qualifica di “rottami” o simili. Anche il più sprovveduto dei revisori, operando una controllo, potrà domandarsi che fine abbiano fatto i preziosi acquistati dall’esercente e registrati regolarmente sul Registro del Commercio (es: 1 bracciale, 1 collanina etc.) e dove invece ha preso i rottami che dichiara di aver ceduto alla fonderia. Infatti i beni acquistati all’origine devono essere ceduti nello stato in cui si trovano, non potendo il semplice “compro oro” lavorare o trasformare gli oggetti preziosi, in quanto questa è una prerogativa riservata ai soli operatori professionali o laboratori specializzati.
Il concetto è questo: se mi tolgo una collana dal collo e la vendo, per quale motivo questa si trasforma in rottame? Riassumendo in poche righe il contenuto delle disquisizioni di cui sopra, deduciamo quindi che il semplice titolare di una ditta individuale, gestore di un “compro oro”, non può assumere le attribuzioni di operatore professionale e commerciare in modo continuativo beni a carattere industriale quali appunto rottami o semilavorati. Così come non può alterare la natura dei beni (oreficeria usata) e trasformarla in “rottami” (operazione anch’essa riservata esclusivamente agli operatori professionali) con l’unico intento di evitare l’imposizione dell’IVA. L’Ufficio Italiano dei Cambi ha provveduto con la pubblicazione del documento esplicativo “Chiarimenti in materia d’oro” del 20/06/2001, a fare chiarezza a tal proposito confermando nettamente quanto esposto:”Per poter qualificare, ai sensi della Legge 17/1/2000, n. 7, il commercio di rottami di oro ed individuare gli eventuali obblighi gravanti su coloro che svolgono tale attività, si distinguono due modalità operative:
– acquisto di oggetti preziosi usati, direttamente da privati, e rivendita degli stessi, senza ulteriore trasformazione. Detta attività non è qualificabile ai sensi dell’art. 1, comma 3, della Legge 17/1/2000, n. 7; essa si configura, infatti, come commercio di prodotti finiti che non rientrano nella definizione di “oro” contenuta nell’art. 1, comma 1, della stessa Legge;
– acquisto di oggetti preziosi avariati, destinati alla fusione, e successiva cessione dell’oro così ottenuto, in una qualunque delle forme in uso (lingotti, placchette, etc.). L’operatività in questione, esercitata in via professionale e non occasionalmente, deve ritenersi riconducibile, sia per gli aspetti soggettivi che oggettivi, nel disposto di cui alla Legge n. 7/2000.”
Come visto nel primo caso non è necessaria l’autorizzazione dell’U.I.C., trattandosi di commercio di “oggetti preziosi usati” e pertanto andrà applicata l’IVA sulle cessioni. Nel secondo caso, trattandosi di vendita di “rottami”, è invece necessaria l’autorizzazione dell’Ufficio Italiano dei Cambi. Questo comporta necessaraiamente essere qualificati come operatori professionali, i soli titolati a poter effettuare questo tipo di commercio, e godere quindi della non applicabilità IVA sulle cessioni d’oro destinati alla fusione. Per chiarire ulteriormente la differenza concreta che intercorre tra l'”oreficeria usata” ed il “materiale d’oro” come i rottami, e la conseguente diversità nell’applicazione dell’IVA e pertanto a suffragio di quanto esposto, la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n.375/E del 28/11/2002 ha affrontato la possibile applicazione del disposto del comma 5 dell’art. 17 nel settore commerciale dell’acquisto di oro usato. Nello specifico veniva considerato l’acquisto di materiale d’oro da parte di privati e poi rivenduto sotto forma di rottami di gioielli d’oro, a soggetti che operano nel settore del recupero dei metalli preziosi. La Risoluzione riportò quanto affermato dall’Ufficio Italiano Cambi e cioè che “rientrano nella nozione di “materiale d’oro” tutte le forme di oro grezzo destinate ad una successiva lavorazione, e che la caratteristica di un “semilavorato” è costituita dall’essere un prodotto privo di una specifico uso e funzione, e cioè dall’impossibilita’ di utilizzare ex se il materiale o la lega d’oro, essendo necessario un ulteriore stadio di lavorazione o trasformazione che ne consenta l’utilizzo da parte del consumatore finale”. Quanto premesso la Risoluzione ritenne “che la predetta vendita di rottami di gioielli d’oro, in sé non suscettibili di utilizzazione da parte del consumatore finale, ad un soggetto che non li destina (né può destinarli) al consumo finale, ma li impiega in un processo intermedio di lavorazione e trasformazione, possa essere assimilata a cessione di materiale d’oro o semilavorato”. Ovviamente, come visto, per procedere alla vendita di suddetto materiale è necessario che il cedente sia autorizzato dalla Banca d’Italia e risponda ai requisiti previsti per gli operatori professionali dalla legge 7/2000. Quindi dimostrare che si opera esclusivamente nel settore del recupero dei metalli preziosi, ed infine beneficiare come contemplato nella succitata risoluzione, di quanto segue:“l’imposta sugli acquisti di rottami di gioielli d’oro, destinati ad essere sottoposti al procedimento industriale di fusione e successiva affinazione chimica per il recupero del materiale prezioso ivi contenuto, può essere assolta mediante la particolare procedura prevista dall’art. 17, comma 5, del DPR n. 633 del 1972.”.
Quanto stabilito dalla Risoluzione n.375/E del 28/11/2002 dell’Agenzia delle Entrate è rilevante, anche alla luce di un’altra Risoluzione, ovvero la n.161/E dell’11 novembre 2005. Questa infatti ha preso in esame la possibilità di ricomprendere nel requisito “oggettivo” anche montature di anelli o chiusure per collane e bracciali (manufatti), potendoli assimilare al concetto di “semilavorati” indicati nel comma 5 dell’art. 17. La Risoluzione evidenzia quanto sopra già illustrato ed osserva ulteriormente che “prodotti come le montature di anelli o le chiusure per collane e bracciali hanno completato il loro specifico processo produttivo e debbono essere considerati prodotti finiti e non materia prima destinata alla lavorazione”. Questi oggetti non necessitano “di una ulteriore lavorazione o trasformazione; l’attività di assemblaggio (per quel che concerne le chiusure di una collana o braccialetto) o di incastonatura (per ciò che riguarda la montatura di anelli) deve essere considerata un procedimento ben distinto dalla vera e propria trasformazione o lavorazione dei prodotti originari”. Considerato che i manufatti in oggetto non possono essere ricompresi nell’ambito dei semilavorati, si deve concludere che per essi “non possa trovare applicazione il meccanismo di cui all’articolo 17, comma 5; l’imposta, pertanto, deve essere assolta nei modi ordinari”.
Sempre la Legge 7/2000 ci informa che: “Chiunque dispone o effettua il trasferimento di oro da o verso l’estero, ovvero il commercio di oro nel territorio nazionale ovvero altra operazione in oro anche a titolo gratuito, ha l’obbligo di dichiarare l’operazione all’Ufficio italiano dei cambi, qualora il valore della stessa risulti di importo pari o superiore a 20 milioni di lire. All’obbligo di dichiarazione sono tenuti anche gli operatori professionali di cui al comma 3, sia che operino per conto proprio, sia che operino per conto di terzi. Dalla presente disposizione sono escluse le operazioni effettuate dalla Banca d’Italia.” Questo significa che i soggetti che svolgono il commercio di “materiale d’oro”, quali “rottami” o “semilavorati”, sono obbligati alla dichiarazione all’Ufficio Italiano dei Cambi (oggi Banca d’Italia) di tutte le operazioni quali trasferimenti e cessioni. Allo stato attuale non risulta che i “compro oro” assolvano questa prassi, anche perché non autorizzati (art.1 comma 3 Legge 7/2000) a questo tipo di commercio.
Quindi, come visto, quei “compro oro” che si sostituiscono nelle funzioni e nei metodi agli operatori professionali, commerciando in rottami d’oro o, ancor peggio, trasformando l’oreficeria usata in rottami – entrambe le operazioni hanno l’intento dichiarato di eludere l’I.V.A.- commettono, oltre che un abuso, anche un reato come sempre la legge 7/2000 all’articolo 4 (Sanzioni) stabilisce:
§1. Chiunque svolge l’attività di cui all’articolo 1, comma 3, senza averne dato comunicazione all’Ufficio Italiano dei Cambi, ovvero in assenza dei requisiti richiesti, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da lire quattro milioni a lire venti milioni. Alla stessa pena soggiace chiunque svolga l’attività prevista dall’articolo 2, comma 1, senza esservi legittimato.
§2. Le violazioni dell’obbligo di dichiarazione di cui all’articolo 1, comma 2, sono punite con la sanzione amministrativa da un minimo del 10 per cento ad un massimo del 40 per cento del valore negoziato. Per l’accertamento delle violazioni previste dal presente comma e per l’irrogazione delle relative sanzioni si applicano le disposizioni del testo unico delle norme di legge in materia valutaria, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, e successive modificazioni.