Ai fini dell’accertamento da vecchio redditometro occorre fornire la prova che il contribuente abbia avuto la disponibilità di determinate somme e che le stesse non siano state investite altrove, lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza del 9 maggio 2017 n. 11388, con la quale ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
Il caso in questione trae origine da un accertamento da vecchio redditometro, in particolare, secondo l’agenzia delle Entrate alcuni investimenti rappresentativi di capacità contributiva non erano giustificati dalle disponibilità finanziarie e dai redditi dichiarati dal contribuente, giustificate con la dismissione di immobilizzazioni finanziarie, un indennizzo per decesso del coniuge, l’eredità paterna nonché una rendita annua dell’INAIL.
I giudici della Cassazione hanno ricordato che secondo un orientamento consolidato di quest’ultima (n. 1455/2016), il contribuente non è tenuto a fornire alcuna prova sull’effettiva destinazione del reddito esente o sottoposto a tassazione separata, ma l’unica dimostrazione è legata alla mera esistenza di tali redditi.
In ipotesi di accertamento sintetico, quindi, è sufficiente che il soggetto accertato dia prova con idonea documentazione dell’entità di tali disponibilità e della durata del loro possesso (Cass. n. 8955/14).
L’orientamento in tal senso pare ormai consolidato, superando così definitivamente alcune più remote pronunce. Era stato affermato, infatti, che al fine della prova contraria per giustificare gli investimenti patrimoniali, occorresse la dimostrazione dell’effettivo esborso, ossia che l’acquisto fosse stato eseguito con un determinato reddito.
È, invece, sufficiente l’esibizione degli estratti conto idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in questione e quindi che astrattamente le spese considerate in sede di accertamento siano state possibili con tali disponibilità, infatti con una recente pronuncia (Cass. 8995/2014) sono stati ulteriormente chiariti i confini della prova contraria a carico del contribuente, a fronte di un accertamento induttivo sintetico D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, che ha specificato che “a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”.
La norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati”.
Fonte: Il Sole 24 Ore