Narrativa
L’accertamento della maggiore imposta sui redditi recuperata a tassazione dall’ente impositore nei confronti di una società a nome collettivo e relativi soci per due annualità consecutive scaturisce da altrettanti controlli ispettivi della Guardia di finanza che aveva contestato, pur in presenza di una contabilità regolare fra l’azienda e un subappaltatore, l’inesistenza della struttura organizzativa di quest’ultimo. In base a questi atti, la società intestata aveva contabilizzato costi per operazioni inesistenti "apparentemente" intercorse con una società a responsabilità limitata, ma in concreto "costruiti" ad hoc dalla medesima. L’ufficio ha dimostrato, invece, attraverso l’indagine svolta in sede istruttoria, che il contribuente aveva simulato con altre società contratti di subappalto di opere edili, in realtà svolte in appalto direttamente dalla stessa, così creando ed esponendo nelle proprie scritture contabili costi in concreto non sussistenti. Ciò anche in relazione alle numerose dichiarazioni dei dipendenti della società intimata che non conoscevano neppure l’esistenza del subappaltatore perché erano sempre stati retribuiti dalla prima impresa.
Questi dati, tuttavia, non erano stati ritenuti sufficienti dalle Commissioni tributarie di merito a suffragare la validità degli atti impositivi de quibus.
Avverso la sentenza dell’appello, l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, nel cui primo motivo deduce violazione di legge e difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia.
Rileva, in particolare, l’Amministrazione finanziaria che la valutazione della prove effettuata dalla Commissione regionale "era erronea ed illogica" per essere stata valorizzata esclusivamente pro contribuente la documentazione fiscale e contabile esistente in ordine alle operazioni di subappalto. Ciò, senza considerare che tale apparenza costituiva elemento sintomatico del meccanismo posto in essere a fini evasivi, ritenendo in questo contesto comunque insufficienti a sostenere le tesi dell’ufficio anche le dichiarazioni dei lavoratori allegate in atti, dalle quali non emergeva altro che "fantomatici" rapporti con la Srl creata cartolarmente in quanto i dipendenti stessi non conoscevano tale altra società, avendo sempre percepito la propria retribuzione direttamente dai titolari della società contribuente.
Inoltre, e soprattutto, si sostiene nel motivo di impugnazione, la Commissione di seconde cure ha anche omesso di valutare gli ulteriori elementi di prova raccolti dall’ufficio, di notevole peso decisivo nella soluzione della controversia, in quanto gli stessi deponevano univocamente e inequivocabilmente per l’inesistenza della Srl con la quale sarebbero intercorsi i contestati rapporti fittizi, circostanza avvalorata ulteriormente dalla mancanza in quest’ultima di una propria sede sociale, di necessarie relative strutture, di mancanza di personale dipendente e, partitamente, dell’assenza di presentazione delle necessarie dichiarazioni fiscali.
La decisione della Cassazione
La Corte di legittimità accoglie il ricorso su questo aspetto fondamentale della vicenda, ricordando a tal fine il consolidato principio (Cassazione 5473/2006, 9368/2006, 21249/2006) in base al quale la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva:
- il compito di individuare le fonti del proprio convincimento
- di assumere e valutare le prove
- di controllarne l’attendibilità e la concludenza
- di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti a esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).
E’ anche noto (Cassazione 2399/2004) che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo dell’omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione.
Al fine della congruità della motivazione, è sufficiente che da questa risulti che i vari elementi probatori acquisiti siano valutati nel loro complesso, anche senza una esplicita confutazione di altri elementi non menzionati, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito a quelli utilizzati.
Ne consegue (Cassazione 10156/2004) che, per poter configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un "rapporto di causalità" fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato a una diversa soluzione della vertenza. Il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo soltanto se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (Cassazione 14973/2006).
E nel corso del giudizio di merito del caso di specie il contribuente si à limitato a proporre le proprie tesi sulla valutazione delle prove acquisite in sede di controllo istruttorio senza addurre argomentazioni idonee a inficiare la motivazione degli atti impositivi, peraltro esenti da lacune o vizi logici determinanti.
Gli effetti per il caso deciso
Le trame argomentative affermate dalla Cassazione si attagliano perfettamente alla fattispecie in esame.
In questo procedimento emerge che la Commissione tributaria regionale, dopo avere attribuito efficacia probatoria alla documentazione del contribuente afferente gli asseriti rapporti con la Srl (contratti, documentazione contabile, assegni), ha poi inspiegabilmente ritenuto l’"insufficienza" degli elementi di segno contrario offerti dall’ufficio a sostegno della propria pretesa impositiva, asserendo l’indiziarietà degli stessi perché consistenti unicamente nelle deposizioni dei lavoratori che figuravano assunti dalla Srl, nonostante questi avessero uniformemente dichiarato di non conoscere questa azienda né di essere stati dalla stessa retribuiti ma di prestare – di fatto – le proprie energie lavorative alla società controricorrente. Sostanzialmente, il giudice di secondo grado, dopo avere attribuito mero valore indiziario alle dichiarazioni manifestate e considerato, quindi, che tale elemento non era idoneo, da solo, a supportare il fondamento della decisione, ha poi inspiegabilmente negato che l’ufficio avesse addotto anche altre prove di tipo oggettivo a favore della propria tesi difensiva.
L’assioma del Collegio di merito è smentito dalla Corte regolatrice, che ha valorizzato gli assunti documentali dell’ufficio, il quale, giusta le emergenze processuali, aveva offerto sufficienti prove atte ad attestare l’inesistenza di una struttura organizzativa terza che avrebbe intrattenuto rapporti con la Snc intimata.
In tale contesto, il secondo giudice non ha quindi tenuto conto dei seguenti elementi di rilevanza determinante nella cornice del complesso quadro della vicenda:
- il fatto obiettivo che l’apparente regolarità contabile è presupposto costitutivo dell’ipotesi di evasione fiscale, che si fonda proprio sull’apparenza cartacea
- l’esistenza di varie dichiarazioni di lavoratori "assunti" dall’asserita Srl che smentiscono in concreto l’esistenza della stessa
- l’esistenza di ulteriori circostanze accertate dagli inquirenti fiscali in ordine alla mancanza di una struttura organizzativa d’impresa della società interposta.
Elementi tutti che acquistano valore decisivo, superando in tal modo anche gli angusti limiti nei quali il secondo giudice ha ricondotto le dichiarazioni di terzi al fine di superare l’inossidabile onere probatorio addotto dall’ufficio.
D’altronde, avrebbe dovuto far riflettere il giudicante la circostanza che, secondo l’id quod plerumque accidit, è di evidente ovvietà che una società priva di struttura organizzativa non è in grado di effettuare il tipo di lavori denunciati (edilizia in subappalto). E tale struttura assente è stata inequivocabilmente provata dai riscontri istruttori della Guardia di finanza.
In ultima analisi, la Commissione regionale avrebbe dovuto prendere adeguatamente in considerazione le deduzioni (e produzioni) dell’ufficio nella loro totalità valutandole criticamente, al fine di accertarne la loro "fondatezza" e "concludenza", senza alcuna inferenza apodittica. In caso contrario, la conclusione per l’insufficienza probatoria delle tesi dell’Amministrazione finanziaria poteva sicuramente essere adottata ma previa adeguata motivazione (basta ricordare al riguardo la recente l’affermazione della Suprema corte in base alla quale, in ipotesi di accatastamento di un immobile, non basta decidere sulla mera legittimità della pretesa tributaria ma il giudice tributario ha il potere e il dovere di determinare l’entità dell’Ici alla luce dell’esatta e definitiva determinazione delle rendite catastali che emerga nel corso del giudizio (sentenza 15538/2010).
Conclusioni
Le conclusioni dell’articolato ragionamento della Cassazione non possono che portare a stigmatizzare il comportamento del giudice del riesame in punto di motivazione della valutazione della controversia, così da procedere all’annullamento, per tale vizio, della decisione impugnata.
Contestualmente viene valorizzato il principio, in tema di evasione fiscale, che, anche in caso di esistenza di contratti e documentazioni contabili, le dichiarazioni dei lavoratori e il processo verbale di constatazione della Guardia di finanza che rileva l’inesistenza di una struttura organizzativa di una società, sono idonei a superare i limiti probatori intrinseci di dichiarazioni di terzi e a legittimare la convinzione della natura illecita della stessa.
D’altronde, la vertenza non poteva ricevere miglior pregio in quanto la falsa fatturazione, in genere, costituisce sempre reato, anche senza vantaggio fiscale (Cassazione 26138/2010).