L’imposta di registro per le compravendite immobiliari prescinde dal nomen iuris attribuito al documento
Non è la comune denominazione conferita a una scrittura privata, ma la reale volontà negoziale dei relativi sottoscrittori, l’elemento utile a individuare la natura del contratto e quindi la giusta imposta di registro.
Questo è il contenuto della decisione n. 22/02/09 emessa dalla Ctp di Vercelli, conforme a un orientamento della giurisprudenza tributaria che, a sua volta, rileva e assorbe il principio civilistico distintivo tra "contratto preliminare" e "contratto definitivo".
Il contenzioso era sorto a seguito del ricorso di un contribuente che contestava le imposte di registro, catastali, ipotecarie e di bollo – ritenute "di legge" dall’ufficio – relativamente a una scrittura privata di compravendita immobiliare sottoscritta dal ricorrente in qualità di parte acquirente.
L’ufficio Entrate di Vercelli, al momento della registrazione, riteneva "definitivo" l’atto a esso sottoposto, facendolo soggiacere a imposizione in misura "proporzionale".
Avverso l’operato dell’ufficio, il contribuente chiedeva il riconoscimento, in via giudiziale, del rimborso della maggiore somma versata rispetto a quella che sarebbe derivata dalla applicazione erariale in misura "fissa", legittima – secondo lo stesso ricorrente – in considerazione della natura "preliminare" del contratto.
Nell’ambito del contraddittorio instaurato, l’ufficio impositore ribadiva il carattere di "definitività" dell’accordo scritto e, a suffragio di tale conclusione, sottolineava sia l’intero pagamento del prezzo convenuto in favore dell’alienante sia la sinallagmatica soddisfazione del contraente-acquirente, che, in virtù della medesima convenzione, avrebbe potuto godere dell’immediato possesso del bene.
L’ufficio, nelle sue difese, indicava quale norma di riferimento l’articolo 1362 c.c., regolante l’interpretazione dei contratti, che impone all’interprete una lettura della scrittura privata alla luce della comune intenzione delle parti contraenti, prescindendo necessariamente dal nomen iuris attribuito al documento.
La Ctp di Vercelli, rigettando il ricorso, argomentava proprio come la distinzione tra contratto "preliminare" e "definitivo" debba essere conseguente a una indagine sulla "comune intenzione delle parti" non limitata "al senso letterale delle parole", così come disposto dall’articolo 1362 c.c.
Il giudice adito riteneva implicitamente assorbita ogni altra argomentazione dal riscontro dell’intero versamento del prezzo e dall’espressa previsione contrattuale sull’immediato possesso del bene da parte dell’acquirente.
Del resto, tale decisione appare conforme anche al testo di cui alla norma tributaria di riferimento , l’articolo 20 del Tur (Dpr 131/1986), che individua la tassazione negli elementi della "intrinseca natura" e degli "effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione" anche se non vi "corrisponda il titolo o la forma apparente", tant’è che la giurisprudenza della Cassazione (sentenza 417/1992) e della Commissione tributaria centrale (decisione 778/1983, 6217/1990, 4977/1991, 5652/1991) hanno plasmato un orientamento costante, oggi confermato dalla commissione di merito.
Invero, premesso che la cessione di beni immobili richiede (ex articoli 1350 e 1351 c.c.) la forma scritta ad substantiam, la reale volontà delle parti non può che assumere un peso determinante nell’individuazione dell’uno o dell’altro tipo di contratto, stante il fatto che in quello "definitivo" le parti determinano direttamente il trasferimento del bene da un patrimonio all’altro, mentre in quello "preliminare" i sottoscrittori si obbligano a prestare il consenso in un momento successivo, pur con effetti conformi al negozio contenuto nello stesso contratto preliminare.
In tale contesto, ne discende anche che l’atto pubblico non determina l’effettiva proprietà, fatto che si realizza sin dalla sottoscrizione del contratto – appunto – "definitivo"; in effetti, l’intervento del rogito notarile – attenendo solo alle conseguenze relative alla trascrizione (articolo 2657 c.c.) e alla opponibilità a terzi (2643 e 2645 c.c.) – presuppone già il soggetto "proprietario" del bene, oggetto di convenzione, e conferisce, infatti, solo natura "pubblica" all’effetto dell’accordo.
Fonte : ilFiscoOggi