Omessa dichiarazione: è responsabile sempre il contribuente

Il contribuente risponde del reato di omessa dichiarazione dei redditi o Iva, anche nel caso in cui l’omissione sia imputabile al comportamento negligente del professionista (nello specifico, commercialista).
Questo il principio ribadito dalla terza sezione penale della Cassazione nella pronuncia 16958 dell’8 maggio.
 
I fatti
Un contribuente impugna in Cassazione la sentenza emessa dalla Corte d’appello capitolina che, nel confermare la sentenza di primo grado, lo aveva condannato per il reato di omessa dichiarazione Iva, anni 2002 e 2003, ai sensi dell’articolo 5 del Dlgs 74/2000 che, nella versione in vigore dal 17 settembre 2011, testualmente dispone: “È punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte a euro trentamila”.
Nello specifico, il ricorrente lamenta la violazione di tale norma in quanto, a suo dire, non ricorrono i presupposti soggettivi e oggettivi del reato contestatogli.
 
In ordine al requisito soggettivo, infatti, l’omessa trasmissione della dichiarazione Iva all’Amministrazione finanziaria era da imputarsi alla colpa/negligenza del commercialista incaricato (peraltro, depositario della contabilità sociale). In altri termini, il comportamento del contribuente non era finalizzato all’evasione di imposta.
Con riferimento all’elemento oggettivo, invece, non era stato accertato il superamento della soglia di punibilità, pari a 77.468,53 euro per ogni anno d’imposta, prevista dall’articolo 5 del Dlgs 74/2000, vigente ratione temporis.
 
La decisione
Secondo i magistrati di legittimità il ricorso è infondato, atteso che i giudici di merito – attraverso un esame analitico ed esaustivo della documentazione processuale – hanno correttamente motivato in ordine agli elementi integranti la fattispecie delittuosa.
Infatti, per un verso, il contribuente – nella sua qualità di rappresentante legale di una Srl – aveva omesso di presentare la prescritta dichiarazione Iva per gli anni 2002 e 2003, con relativa evasione d’imposta per importi ben superiori al limite previsto dalla legge, dall’altro, non assume rilievo, al fine di escludere l’elemento soggettivo della fattispecie delittuosa in parola, la circostanza che la mancata presentazione fosse imputabile a responsabilità esclusiva del commercialista.
 
A questo riguardo, la Cassazione ribadisce che “…l’affidamento ad un commercialista del mandato a trasmettere per via telematica la dichiarazione dei redditi alla competente Agenzia delle Entrate…ai sensi dell’art. 3, comma 8, d.P.R. n. 322/1988, come modificato dal d.P.R. n. 435/2001 – non esonera il soggetto obbligato alla dichiarazione dei redditi a vigilare affinché tale mandato sia puntualmente adempiuto…[conforme Sez. III n. 9163 del 29/10/2009 (depositata 08/03/2010)…”.
 
Osservazioni
La pronuncia in esame affronta una questione assai delicata e di stretta attualità, ossia il rapporto tra contribuente e professionista incaricato – disciplinato dalle norme codicistiche – nell’ambito delle violazioni connesse alla mancata presentazione della dichiarazione fiscale e dal mancato versamento delle relative imposte.
In generale, a seguito del conferimento dell’incarico, si instaura tra il professionista e il cliente un rapporto che attribuisce a quest’ultimo la pretesa di esigere lo svolgimento della specifica attività oggetto del contratto. Ne deriva che il consulente fiscale ha nei confronti del proprio cliente una responsabilità di natura contrattuale che determina, in caso di inadempimento, l’obbligo da parte del consulente di risarcire i danni subìti dal cliente.
 
Al riguardo, in dottrina e giurisprudenza, si è soliti distinguere le prestazioni contrattuali tra obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, intendendo, per le prime, quelle in cui il prestatore d’opera si impegna a fornire un risultato specifico e oggettivamente determinato, per le seconde, invece, quelle in cui questi si impegna semplicemente a una attività diligente in vista del risultato stesso (che potrebbe anche non essere conseguito).
Ovviamente, la diversa natura della prestazione incide sul grado di responsabilità che è, evidentemente, maggiore nell’ipotesi di obbligazione di risultato, nella quale il debitore, per essere considerato adempiente, deve provare l’attuazione completa dell’obbligazione e non solamente la sua diligente esecuzione.
 
Nell’ambito delle attività professionali cosiddette intellettuali, l’obbligazione deve considerarsi come obbligazione di mezzi, in quanto, con l’assunzione dell’incarico, il professionista si impegna a prestare l’opera intellettuale solo al fine di raggiungere il risultato sperato ma non a conseguirlo.
Nel caso del commercialista, tuttavia, sebbene l’impegno a predisporre una dichiarazione dei redditi configura, senza dubbio, un’obbligazione di mezzi e, quindi, l’inadempimento del professionista dovrà essere valutato alla stregua del dovere di diligenza (e non dal mancato raggiungimento del risultato utile, cioè evitare atti impositivi tributari, in tal senso, cfr Tribunale di Genova, sentenza 80000 del 20 gennaio 2012, secondo cui “L’invio di una cartella esattoriale non è sempre sintomo inequivocabile di un inadempimento professionale del commercialista incaricato dalla società destinataria dell’atto di tenere la contabilità. Infatti, non è escluso che una società, sia pure assistita da un commercialista diligente, possa essere destinataria di pretese tributarie da parte dell’Amministrazione Finanziaria”), lo stesso non vale per l’attività di trasmissione telematica della dichiarazione che, per i suoi caratteri meramente materiali, raffigura un’obbligazione di risultato.
 
In quest’ultima ipotesi, peraltro argomento della sentenza in esame, il contribuente, quantunque responsabile in prima persona innanzi all’Amministrazione finanziaria, potrà agire, in via civilistica, nei confronti del commercialista negligente per il risarcimento danni.
 
A tal riguardo, la Cassazione, nel confermare la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali a carico del consulente, ha precisato – in una fattispecie in cui un contribuente aveva proposto domanda di risarcimento danni nei confronti del proprio commercialista in quanto quest’ultimo aveva esposto in dichiarazione costi non documentati o non di competenza da cui era scaturito un accertamento fiscale – che è “…preciso obbligo di diligenza del professionista non appostare costi privi di documentazione o non inerenti all’anno della dichiarazione”, con la conseguenza che il commercialista “…avrebbe dovuto escludere i costi dalla dichiarazione dei redditi, qualora il cliente non avesse provveduto a fornire la relativa documentazione” (Cassazione, sentenza 9916 del 2010).
Fonte. Marco Denaro da nuovofiscooggi.it
 
 

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