La società con un’elevata esposizione bancaria in presenza di un ingente saldo positivo del conto cassa, ha una condotta antieconomica e pertanto legittima l’Amministrazione finanziaria a procedere con l’accertamento analitico-induttivo, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare. È questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 1530 del 20 gennaio 2017.
La vicenda processuale
La società Alfa era stata destinataria di un atto di accertamento in quanto dopo aver riscontrato un palese comportamento antieconomico, l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto inattendibile la contabilità della società benchè regolarmente tenuta. Inoltre, la società, nonostante disponesse di cospicue risorse finanziarie proprie non riduceva la propria esposizione bancaria, ma l’aggravava ulteriormente stipuilando un nuovo mutuo.
La società presentava ricorso, vincendo sia in primo che in secondo grado, in quanto per il giudice d’appello “la presenza di reiterati prelievi dai conti bancari in rosso e i continui movimenti del conto cassa (dovuti all’accensione e all’estinzione dei finanziamenti soci) non erano idonei a far ritenere inattendibile la contabilità in presenza di regolarità formale della contabilità e congruità del reddito dichiarato agli studi di settore.”
L’amministrazione finanziaria proponeva ricorso per Cassazione argomentando che le anomalie riscontrate costituivano pesanti indizi di occultamento di ricavi, tanto da legittimare il ricorso alla procedura induttiva, con inversione dell’onere della prova al contribuente.
La pronuncia della Corte suprema
I giudici di legittimità, accogliendo le censure sollevate dall’Agenzia delle Entrate, hanno confermato una condivisa e consolidata giurisprudenza, che configura in analoghe condotte commerciali prova presuntiva dei maggiori ricavi, idonea a fondare l’accertamento con il metodo analitico induttivo.
La grave incongruità o abnormità del dato economico esposto in dichiarazione priva le stesse scritture contabili di qualsiasi attendibilità, consentendo all’ufficio di dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e di desumere, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, e ciò indipendentemente dalla riscontrata regolarità formale delle scritture contabili.
Affrontando la particolarità del caso in esame, la Corte suprema ha motivato la propria decisone esaminando natura, caratteristiche e rilevanza del conto cassa, concludendo di essere in presenza di un’incongruenza dovuta alla “coesistenza di un conto cassa con ingente saldo positivo e di una contemporanea elevata negativa esposizione bancaria: l’impresa, difatti, vanta una grande liquidità ma, al contempo, non la usa e, per soddisfare i rapporti commerciali, ricorre al credito bancario (od ancor più, ad un mutuo passivo), fonte di costi ed oneri passivi”.
Fonte: Fisco Oggi