Importante punto a proprio segnato dall’Amministrazione in una delicata questione in materia di accollo di costi di un consorzio da parte di un consorziato.
La Ctp di Firenze (sentenza n. 66/11/08 del 18 settembre 2008) ha, infatti, avallato il recupero dell’ufficio basato su un illecito transfer pricing (interno), avvenuto per comprimere il reddito delle singole consorziate per fini meramente fiscali, pianificando una collocazione ottimale delle componenti reddituali (positive o negative), che permettesse una riduzione del carico fiscale della società a regime fiscale più svantaggioso.
Il caso
I dipendenti amministrativi di un consorzio, per accordi contrattuali fra le parti, erano diventati dipendenti di una delle società consorziate. Tuttavia, gli stessi avevano continuato a occuparsi della contabilità del consorzio e degli altri soggetti che ne facevano parte, senza però che la società "datrice di lavoro" emettesse le fatture al consorzio che di tali attività si avvaleva.
Per l’ufficio, che riprendeva a tassazione i ricavi non fatturati, le transazioni tra consorzio e consorziata non avevano seguito le leggi della domanda e dell’offerta ed erano avvenute in assenza di condizioni di mercato e di libera concorrenza.
In un tale contesto, visto che lo scopo di una società di capitali è, "per natura", la produzione di utili e considerato che la legge non conferisce rilevanza a una eventuale volontà del "gruppo" (o, come nel caso di specie, del consorzio) orientata in senso diverso, i maggiori elementi positivi (ricavi) o i minori elementi negativi (costo), afferenti operazioni economiche non idonee sin dall’origine a realizzare detta finalità, potevano senza dubbio essere ripresi a tassazione.
Tramite transazioni antieconomiche, come quella esaminate dalla Ctp, si realizza infatti un vero e proprio abuso, al fine di pilotare a piacimento gli utili al di fuori di qualsiasi logica economica, ma solo con la ricerca di un arbitraggio fiscale (vedi anche Ctp di Milano 577/1998, Ctc 3286/1992, Corte di appello di Venezia 816/1991).
In questi casi, peraltro, come ormai pacificamente stabilito in giurisprudenza (cfr Cassazione, sentenza n. 6337/2002), "Se è vero che le scelte economiche dell’imprenditore sono normalmente insindacabili, tuttavia il Fisco non è tenuto a credere che un imprenditore agisca in modo antieconomico. Quando si scopre un comportamento antieconomico dell’imprenditore, è lecito quanto meno dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate, con la conseguenza che l’Ufficio può presumere maggiori ricavi o minori costi e l’onere della prova si sposta sulla parte privata".
Tali considerazioni sono state accolte in pieno dalla Ctp di Firenze, la quale, nella sentenza citata, ha espressamente affermato che "è pacifico che gli ex dipendenti del Consorzio…hanno continuato ad occuparsi della contabilità del Consorzio e delle partecipate; a fronte di tali prestazioni…la società consorziata non ha fatturato alcunché…, accollandosi per intero anche il costo del personale che ha svolto invece attività a favore di altra società…Il passaggio del personale…pertanto fa presumere che le due società, in un’ottica di esclusivo risparmio fiscale, abbiano trasferito il costo del personale amministrativo su quella che presenta un trattamento tributario degli utili più svantaggioso, cioè su quello che presenta la forma della spa, avendo ben presente il regime agevolato di tassazione degli utili conseguiti dalla società cooperativa …".
In tali contesti, del resto, è ormai acclarato che si può procedere anche per presunzioni.
Come, infatti, ricordato dalla Suprema corte con la sentenza 14379/2007 "…la relativa prova può essere fornita con qualsiasi mezzo, anche attraverso presunzioni semplici, in ordine alle quali non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, in quanto è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile …".
Infine, si ricorda che, con la sentenza di legittimità n. 8772 del 4 aprile 2008, in tema di abuso del diritto, è stato espressamente affermato che "non hanno efficacia nei confronti della amministrazione finanziaria quegli atti posti in essere dal contribuente che costituiscano "abuso di diritto", cioè che si traducano in operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale; ed incombe sul contribuente fornire la prova della esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di carattere non meramente marginale o teorico".
L’ottica dei rapporti elusione/norma legislativa, secondo la Cassazione, si è infatti oggi ribaltata e le singole norme "anti-elusive" vengono invocate non più come eccezioni a una regola, ma come "mero sintomo dell’esistenza di una regola".
Non si dubita, cioè, più dell’esistenza di una clausola generale antielusiva, ma ci si interroga solo su quali siano i casi in cui applicarla.
La Commissione tributaria provinciale di Firenze ne ha individuato un altro.
Giovambattista Palumbo – Fisco Oggi