Anche nei casi di fusione inversa l’incorporante può beneficiare dell’imposta sostitutiva per "affrancare" i maggiori valori iscritti in bilancio per effetto dell’imputazione del disavanzo, sia esso da concambio o da annullamento. Il riconoscimento fiscale è consentito, tuttavia, a prescindere dal carattere – diretto o inverso – della fusione, solo in relazione ai beni provenienti dal patrimonio dell’incorporata e a condizione che quest’ultimo sia configurabile quale compendio aziendale.
È, sinteticamente, quanto ha avuto modo di precisare l’agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 46/E del 24 febbraio.
La norma al centro della "disputa interpretativa" è l’articolo 172, comma 10-bis, del Tuir, in forza del quale è consentito alla incorporante, o alla società risultante dalla fusione, di ottenere il riconoscimento fiscale dei maggiori valori iscritti in bilancio a seguito dell’operazione, mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’Irap. I maggiori valori in questione (rispetto agli ultimi, fiscalmente riconosciuti, dei beni stessi presso il soggetto incorporato o fuso) sono quelli derivanti dall’imputazione del disavanzo, da annullamento o da concambio, a incremento degli elementi dell’attivo costituenti immobilizzazioni materiali e immateriali, avviamento compreso.
L’Agenzia ha ricordato come sia fondamentale, per poter esercitare l’opzione per il regime sostitutivo, la circostanza che i beni da affrancare:
– provengano dal patrimonio della società incorporata o fusa
– non siano singoli beni ma configurino un compendio aziendale.
Requisiti mancanti nel caso sottoposto all’attenzione dell’Amministrazione finanziaria, con la controllata-incorporante che nessun bene riceveva dalla controllante-incorporata.
In effetti, tali motivi ostativi erano stati messi in evidenza dallo stesso istante, che però perorava la propria causa puntualizzando come (al di là di un differente disavanzo) la fusione inversa aveva prodotto effetti giuridici, economici, patrimoniali sostanzialmente analoghi a quelli che si sarebbero avuti in caso di fusione diretta. Di conseguenza, non essendovi dubbi sul fatto che scegliendo tale seconda strada sicuramente si sarebbe potuta applicare la disciplina sostitutiva (in quanto il disavanzo sarebbe stato iscritto su beni in questo caso sì ricevuti dalla controllata), una sua preclusione, nel caso di fusione inversa, avrebbe creato "un discrimen di natura fiscale tra le varie operazioni straordinarie e le modalità con cui vengono attuate".
Tesi evidentemente respinta dall’agenzia delle Entrate che non ha potuto non mettere in evidenza come a precludere la possibilità di procedere all’affrancamento non fosse il fatto che si era di fronte a una fusione inversa, quanto la circostanza che l’incorporante aveva imputato contabilmente il disavanzo a beni che già facevano parte del suo patrimonio ante-fusione.
Fisco Oggi