Gli agenti di commercio, sia che operino in forma individuale, sia in forma societaria, sono soggetti agli studi di settore come ormai quasi tutti i contribuenti. Tuttavia l’accertamento nei loro confronti deve considerare determinate specificità, altrimenti rischia di essere travolto dal successivo contenzioso tributario, se il contribuente intende difendersi e si affida ad un professionista preparato, che sappia cogliere tutte le opportunità difensive presenti in materia.
L’agente esclusivo o monomandatario. Prima di tutto bisogna analizzare attentamente il mandato d’agenzia, stipulato tra agente e preponente. A volte il mandato prevede l’obbligo di esclusiva, a vantaggio del preponente (il c.d. «agente esclusivo» o «monomandatario»), in modo tale che l’agente non possa assumere alcun altro mandato e non solo quelli di prodotti non in concorrenza; in pratica, questo rapporto. vede l’agente collaborare unicamente con un solo preponente.
In una fattispecie del genere, in caso di non congruità ai risultati dello studio di settore, se l’Ufficio intendesse sostenere l’occultamento di maggiori ricavi da parte dell’agente, dovrebbe dimostrare l’esistenza di mandati ulteriori rispetto a quello ufficialmente posseduto dall’agente. Oppure che l’agente ha maturato provvigioni «in nero» collegate a vendite «in nero» effettuate dal preponente. Altrimenti l’accertamento non potrebbe essere sostenuto solo dalle risultanze degli studi di settore, che non indicano un «maggior reddito» dell’agente, ma presunti suoi maggiori ricavi d’esercizio. Siccome per i ricavi risultano dagli estratti conto periodici emessi dal preponente, sulla base delle vendite da questi effettuate in un determinato periodo, non sarebbe logico imputare maggiori provvigioni all’agente senza dimostrare da quali vendite esse derivino. Ne consegue che l’Ufficio dovrebbe allargare il proprio campo di indagine al preponente, e solo ove riuscisse a dimostrare la presenza di sue vendite non contabilizzate, potrebbe eventualmente risalire alle maggiori provvigioni che l’agente ha percepito «in nero».
Altrimenti lo studio di settore non reggerebbe.
Ecco che allora la presunzione di maggiori ricavi operata dall’ufficio va contestata fin dal momento del contraddittorio, facendo verbalizzare l’assenza delle prove appena viste, perché questo è un motivo di difesa utilizzabile anche successivamente, in un’eventuale fase contenziosa davanti alle Commissioni tributarie.
L’agente plurimandatario. Anche per quanto riguarda gli agenti plurimandatari valgono le considerazioni appena esposte, potendosi anche qui ricercare la presenza di mandati ulteriori rispetto a quelli ufficialmente posseduti o le vendite non contabilizzate da parte dei preponenti, da cui derivino necessariamente le maggiori provvigioni occultate dall’agente.
Conclusioni. Gli accertamenti basati sugli studi di settore devono essere sorretti, a pena di nullità, da ulteriori riscontri probatori, in modo che questi, unitamente ai risultati di Gerico, forniscano un quadro, se non di prove, quanto meno di presunzioni gravi, precise e concordanti tra loro, che portino necessariamente ad affermare, quale unica conclusione, la presenza di maggiori ricavi rispetto al dichiarato.
Nel caso degli agenti di commercio, i ricavi consistono in provvigioni accertate, liquidate e pagate dai preponenti, che sono pure sostituti di imposta, ricordiamolo, e quindi c’è un contrasto di interessi tra le parti che non consente di presumere che il preponente liquidi provvigioni all’agente senza richiedergli l’emissione della fattura.
Ecco che allora l’Ufficio non può in nessun caso basarsi pigramente sui risultati di Gerico, ma deve riscontrare altri elementi probatori, sia per dimostrare eventuali provvigioni occultate, sia per dimostrare che determinati costi inseriti nel bilancio aziendale sono inesistenti in tutto o in parte o non sono di competenza.
Altrimenti l’accertamento non può ritenersi legittimo.
Fonte: Mazzanti Roberto Italia Oggi di giovedì 12 novembre 2009, pagina 31