La Commissione tributaria provinciale di Firenze, con la sentenza n. 19/10/09 del 17 febbraio 2009, ha respinto il ricorso di un contribuente che si opponeva al recupero dell’imposta, dovuta a seguito del disconoscimento da parte dell’ufficio della possibilità di poter usufruire dell’aliquota Iva agevolata al 4% sull’acquisto di un immobile da adibire a propria residenza.
La vicenda
Nel caso in questione, il 13 giugno 2002, il contribuente aveva stipulato un atto di compravendita con cui acquistava un fabbricato per civile abitazione nel Comune di Marradi, vicino Firenze.
Per usufruire dell’aliquota Iva agevolata del 4%, così come previsto dalla relativa normativa, dichiarava nel contratto di compravendita di voler stabilire la propria residenza nel Comune di Marradi nel termine di 18 mesi dalla stipula, cioè entro il 13 febbraio 2003.
Tuttavia, come del resto ammesso anche nel ricorso, il contribuente risultava formalmente residente nel Comune di Marradi solo a partire dal 3 gennaio 2005.
L’ufficio, dunque, dopo aver verificato che il cittadino non aveva trasferito la propria residenza anagrafica nel Comune, come invece indicato nel contratto di compravendita e come richiesto dalla normativa per poter usufruire della agevolazione, procedeva al recupero delle imposte dovute nella misura ordinaria, oltre a interessi e sanzioni.
Il contribuente proponeva ricorso, eccependo le seguenti contestazioni:
tardività della notifica dell’avviso, avvenuta, a suo dire, oltre il termine triennale di decadenza dalla registrazione dell’atto, come previsto dall’articolo 76 del Dpr 131/1986
che, al fine di godere dell’agevolazione, era comunque sufficiente la residenza di fatto e non invece quella di diritto, come risultante dalla relativa iscrizione all’Anagrafe.
L’ufficio si opponeva a tali eccezioni con considerazioni poi tutte puntualmente accolte dalla Commissione tributaria.
In particolare, in ordine alla tardività della notifica, rilevava cheper i casi come quello in esame, l’articolo 11, comma 1 della legge 289/2002 ha previsto una proroga di due anni dei termini pattuiti per la rettifica e la liquidazione della maggiore imposta.
Con il maxiemendamento al Dl 282/2002, convertito nella legge 27/2003, è stato infatti introdotto, nell’ambito dell’articolo 11, il comma 1-bis, il quale prevede che “Le violazioni relative all’applicazione, con agevolazioni tributarie, delle imposte su atti, scritture, denunce e dichiarazioni di cui al comma 1, possono essere definite con il pagamento delle maggiori imposte a condizione che il contribuente provveda a presentare entro il 16 aprile 2003 istanza con contestuale dichiarazione di non voler beneficiare dell’agevolazione precedentemente richiesta. La disposizione non si applica qualora, alla data di entrata in vigore della presente legge, sia stato notificato avviso di rettifica e liquidazione delle maggiori imposte”.
Il legislatore, pertanto, attraverso il maxiemendamento, vi faceva rientrare anche tali ipotesi ( così come confermato dalla circolare n. 12/2003), a condizione che, al 1° gennaio 2003, non fosse stato notificato avviso di rettifica e liquidazione delle maggiori imposte. La Ctp ha quindi riconosciuto la valenza della “proroga di due anni dei termini pattuiti per la rettifica e la liquidazione della maggior imposta”. Per quanto riguardava invece il concetto di “residenza di fatto”, l’ufficio evidenziava che, non potendo negare la mancanza del presupposto di diritto richiesto dalla norma, il contribuente cercava allora di dimostrare la sussistenza di una situazione fattuale, producendo l’intestazione delle utenze domestiche. Tale situazione, però, ai fini della spettanza dell’agevolazione, era del tutto insignificante.
L’ufficio rilevava infatti come la nota II bis all’articolo 1 della parte prima della Tariffa allegata al Dpr 131/1986, vigente nel momento in cui era stato stipulato l’atto traslativo, prevedeva espressamente che l’immobile fosse ubicato nel territorio del Comune in cui l’acquirente ha, o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto, la propria residenza. Laddove è chiaro che il solo concetto di residenza ammesso dalla legge è quello della residenza anagrafica.
Nessun pregio meritava quindi il richiamo a un inesistente concetto di residenza “di fatto”.
La sentenza
Come già riconosciuto più volte dalla stessa Commissione tributaria (cfr Ctp di Firenze, sentenza n. 55/08/06), peraltro, “le norme di agevolazione fiscale per la prima casa sono inderogabili e il requisito della residenza è un requisito formale che non può essere sostituito da situazioni sostanzialmente analoghe”.
La residenza formale indicata all’anagrafe è infatti l’unica in grado di fornire un dato certo, non essendo quindi possibile dare rilevanza giuridica a circostanze fattuali, ove in contrasto con il dato anagrafico.
La stessa Corte di cassazione, con la sentenza n. 8377/2001, ha escluso espressamente la rilevanza giuridica di realtà di fatto che contrastino con il dato anagrafico, proprio relativamente alla concessione dell’agevolazione prima casa.
Del resto, oltre che dalla inequivocità del dato letterale, tale conclusione è confermata dal fatto che una norma speciale, che deroga cioè all’ordinario regime di tassazione, non può essere interpretata in via estensiva.
L’unico elemento che, quindi, consente di verificare il pieno rispetto dell’obbligo di trasferimento della residenza è solo ed esclusivamente il certificato anagrafico.
E’ la legge, infatti, che, nel prevedere tale agevolazione, ne subordina la spettanza al rispetto di un requisito formale, quale appunto il trasferimento della residenza secondo le risultanze anagrafiche del Comune ove è ubicato l’immobile.
Non si trattava, quindi, come erroneamente sosteneva il contribuente, di eccessivo formalismo, bensì di puntuale applicazione della norma, in conformità a quel principio di certezza del diritto che permea tutto il nostro ordinamento.
Infine comunque, come anche ricordato nella pronuncia in esame, ogni dubbio in merito a tale questione è stato oggi fugato dalla sentenza della Corte suprema n. 9949/2008, la quale ha espressamente affermato che “Il tenore letterale della disposizione contenuta nell’art. 2, D.L. n. 12/1985, in tema di agevolazioni per l’acquisto della c.d. prima casa induce a ritenere insufficiente la circostanza che l’acquirente abbia trasferito la propria residenza nell’immobile compravenduto laddove detta modificazione non sia recepita presso l’ufficio dell’anagrafe. Conseguentemente, è irrilevante alla data dell’acquisto la residenza di fatto difforme da quella fatta constare dall’esame delle iscrizioni all’anagrafe della popolazione residente”.
La Corte sottolinea poi come “il principio che in materia debba attribuirsi prevalenza alla residenza anagrafica su quella di fatto è ormai fermo nella giurisprudenza di questa corte (ex multis n. 8377/2001)”.
Nuovo Fisco Oggi