In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la c.d. “contabilità in nero”, costituita da appunti personali e informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Così hanno deciso i giudici di legittimità riguardo al contenzioso instaurato da una Srl avverso un avviso di rettifica con il quale veniva elevato il volume di affari da 142 milioni di lire a 2 miliardi e 300 milioni. Secondo la Cassazione (sentenza n. 20264/2008), tutti i documenti che registrino i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore e il risultato economico dell’attività, sono da ricomprendere tra le scritture contabili (disciplinate dall’articolo 2709 cc e seguenti), e sul contribuente incombe l’onere di fornire la prova contraria.
La vicenda trae origine, nel 2000, da un avviso di rettifica notificato a titolo di Irpeg, Ilor e contributo straordinario di solidarietà, per l’anno 1994, a una società, con il quale le veniva aumentato, tramite la procedura di accertamento induttivo, il volume d’affari dichiarato.
Avverso l’avviso, la contribuente proponeva ricorso, sostenendo l’infondatezza della pretesa tributaria, in quanto basata su un diverso accertamento compiuto dalla Guardia di finanza.
Costituitosi, l’ufficio puntualizzava che la rettifica scaturiva dalle indicazioni precise emergenti da un accertamento eseguito perché, nella fattispecie, era stata rinvenuta dalla Finanza, presso il domicilio dell’amministratore delegato, una contabilità parallela, oltre che da ulteriori irregolarità riscontrate dai funzionari del fisco i quali, quindi, riprendevano a tassazione delle voci che erano risultate indeducibili (ammortamenti, spese carburanti ecc.). In più, l’amministratore aveva definito, mediante patteggiamento, un procedimento penale per reati fiscali relativi all’evasione realizzata e definitivamente accertata con la sentenza penale, peraltro passata in giudicato.
La Ctp accoglieva in parte il ricorso, e la Ctr del Piemonte, nel rigettare sia l’appello principale dell’Agenzia che quello incidentale della società, osservava: “gli elementi acquisiti in ordine alla contabilità parallela erano piuttosto vaghi, mentre invece per le voci in ripresa la contribuente non aveva fornito alcuna prova che rendesse infondata la pretesa erariale”.
Contro questa decisione l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che l’ufficio ben poteva procedere ad accertare maggiori ricavi mediante il criterio analitico induttivo sulla scorta della contabilità in nero scoperta dai militari della Guardia di finanza presso il domicilio dell’amministratore unico, nonché delle irregolarità riscontrate, e dalle quali appariva evidente che il giro di affari in nero era di gran lunga superiore rispetto alle risultanze delle scritture contabili ufficiali, tanto che gli stessi dipendenti avevano avuto dei compensi non contabilizzati, e che erano proporzionali al volume di affari concluso: addirittura otto milioni in un solo mese.
Di segno contrario alle decisioni di merito il parere della Suprema corte, la quale, coerentemente con un orientamento ormai consolidato, ha affermato che gli appunti personali e le informazioni dell’imprenditore rivestono il valore di indizi dotati dei requisiti della gravità, precisione e concordanza (ex articolo 39 del Dpr 600/1973), e tutti i documenti che attestino gli atti d’impresa e rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore, nonché il risultato economico risultante dall’attività esercitata, vanno ricompresi nelle scritture contabili di cui all’articolo 2709 cc, ricadendo sul contribuente l’onere della prova contraria (Cassazione 25610/2006, 19329/2006, 19598/2003).
I giudici di legittimità, inoltre, hanno ritenuto inesatto l’assunto della Ctr secondo cui l’evasione non vi era stata, perché ciò emergeva dalla sentenza pronunciata dalla medesima nel processo relativo all’Iva, e facente stato nel nuovo giudizio avanti la stessa.
La sentenza di legittimità puntualizza, invece, che nel giudizio in materia di accertamento dell’Irpeg e dell’Ilor dovute da un’impresa (nella specie, in relazione all’emissione di fatture per operazioni di sponsorizzazione ritenute inesistenti), non assume rilevanza preclusiva il giudicato esterno formatosi in controversie, aventi a oggetto l’impugnazione di avvisi di rettifica Iva “fondati sul medesimo presupposto”, definite in primo grado nel senso dell’infondatezza della contestazione del fisco. Ciò in quanto tali ultimi giudizi hanno inciso su un rapporto giuridico diverso sia dal punto di vista oggettivo, perché concernente una differente obbligazione tributaria, che dal punto di vista soggettivo, essendo diverso, nell’assetto normativo del tempo, l’ufficio finanziario preposto al relativo accertamento (Cassazione 5943/2007, 2438/2007, 13916/2006).
Gabriella Petrone – Fisco Oggi