L’autorizzazione a proporre appello può essere prodotta, con effetti retroattivi, nel corso del relativo giudizio, fino all’udienza di discussione del ricorso innanzi alla Commissione tributaria regionale. A tale conclusione sono pervenuti i giudici di legittimità con la sentenza n. 229 del 9 gennaio 2009. Nel caso in esame, l’Amministrazione finanziaria ricorre per cassazione nei confronti della sentenza della Ctr che aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’agenzia delle Entrate avverso la decisione di primo grado, in quanto l’ufficio non aveva allegato all’atto d’impugnazione l’autorizzazione prevista dall’articolo 52 del Dlgs 546/1992, benché la stessa fosse stata prodotta prima dell’udienza di discussione.
In particolare, la norma dispone che “gli uffici periferici del Dipartimento delle entrate devono essere previamente autorizzati alla proposizione dell’appello principale dal rappresentante del servizio del contenzioso della competente Direzione regionale delle entrate…”.
La giurisprudenza nel tempo
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, formatosi con riferimento all’assetto organizzativo preesistente all’attivazione delle Agenzie fiscali, l’autorizzazione all’appello ha natura di presupposto processuale (sebbene la norma non contenga una espressa previsione in tal senso), la cui mancanza determina l’inammissibilità del ricorso in appello, come tale rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (cfr Cassazione, sentenze 13576/2007, 13196/2007, 20516/2006, 20782/2005, 4040/2004, 11321/2001).
A seguito della istituzione delle Agenzie fiscali, la Cassazione ha mutato il proprio orientamento e, con la sentenza 604/2005, pronunciata a sezioni unite, ha affermato che la disposizione dell’articolo 52, comma 2, del Dlgs 546/1992, deve essere ritenuta “non più suscettibile di applicazione nell’intervenuta operatività della normativa di cui al Dlgs 300/1999”, che ha istituito le Agenzie, attribuendo a esse la gestione della generalità delle funzioni in precedenza esercitate dai dipartimenti e dagli uffici del ministero delle Finanze e trasferendo alle medesime i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze, da esercitarsi secondo la disciplina dell’organizzazione interna di ciascuna Agenzia. Di conseguenza, “deve escludersi che da detta norma possano farsi discendere condizionamenti al diritto delle Agenzie (…) di impugnare in appello le sentenze delle Commissioni tributarie provinciali ad esse sfavorevoli”.
In buona sostanza, la suddetta autorizzazione non avrebbe più valore di presupposto processuale, la cui mancanza determina l’inammissibilità del ricorso in appello, ma di semplice procedura interna all’Amministrazione.
Tuttavia, indipendentemente da tale orientamento giurisprudenziale, l’agenzia delle Entrate, con la circolare 65/2007, ha chiarito che “gli Uffici e le Direzioni regionali debbono continuare ad applicare sistematicamente la procedura di autorizzazione all’appello prevista dall’articolo 52, comma 2, del Dlgs 546/1992, in quanto si tratta di uno strumento per il concreto esercizio delle funzioni di indirizzo, coordinamento e controllo da parte delle Direzioni regionali nei confronti degli uffici ai sensi del comma 3 dell’articolo 4 del regolamento di amministrazione”.
In proposito, l’Avvocatura dello Stato, in più occasioni, ha precisato che l’istituto dell’autorizzazione assolve una triplice funzione:
1. una interna all’Amministrazione, intesa a garantire il controllo gerarchico, anche di convenienza economica, sull’opportunità di proseguire il giudizio “iniziato male”
2. una esterna, che consente al contribuente di individuare nell’Amministrazione finanziaria, nel suo insieme, il suo contraddittore, evitando anche il rischio di personalizzazione delle controversie
3. una deflativa di oggettiva economia dei giudizi, intesa a evitare che si protraggano contenziosi dall’esito scontato o comunque antieconomici per l’erario.
La sentenza
Tanto precisato, con la sentenza n. 229 dello scorso 9 gennaio, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso presentato dall’agenzia delle Entrate, affermando che, in tema di contenzioso tributario, l’autorizzazione a proporre appello può essere depositata anche dopo la costituzione in giudizio e fino all’ultima udienza di discussione del ricorso innanzi alla Commissione tributaria regionale.
Conseguentemente, per i giudici di legittimità, non deve essere dichiarato inammissibile l’appello allorquando l’ufficio produca l’autorizzazione nel corso del giudizio di secondo grado.
Come affermato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, infatti, l’autorizzazione in esame può essere prodotta, con effetti retroattivi, nel corso del relativo giudizio (anche oltre il limite fissato dall’articolo 32 del Dlgs 546/1992, riguardante il “deposito di documenti e memorie”), “……non essendo siffatta produzione, per la sua attinenza a presupposto processuale, soggetta a particolari vincoli di ordine temporale, che non quello ultimo della udienza di discussione del ricorso innanzi alla Commissione tributaria regionale, rimanendo così acquisita agli atti di causa” (cfr Cassazione 6463/2002, 5604/2003, 12702/2004).
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