L’ufficio può legittimamente utilizzare ai fini Iva e Irpef il quantum accertato in altro settore impositivo
In tema di accertamento correlato alla tassazione della plusvalenza patrimoniale derivante dalla cessione di azienda, è corretto l’operato dell’ufficio che ne ha calcolato il valore sulla base del valore dell’avviamento resosi definitivo ai fini dell’imposta di registro. Spetta al contribuente superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in sede di applicazione dell’imposta di registro.
A stabilirlo la Corte di cassazione con ordinanza n. 21020 del 30 settembre 2009.
L’ordinanza 21020/2009 della Cassazione
La vicenda ha origine dall’impugnativa di un avviso di accertamento congiunto Iva/Irpef a carico di una ditta individuale, che, respinta in primo grado, si è conclusa davanti alla Commissione tributaria regionale con il rigetto dell’appello dell’ufficio.
Quest’ultima, nel riformare la precedente decisione, ha rideterminato il valore della plusvalenza da cessione, che era stata calcolata dall’ufficio sulla scorta del valore definitivamente assegnato ai fini dell’imposta di registro all’avviamento nell’ambito del trasferimento di azienda, rilevando che "l’atto impugnato in questa sede è autonomo e indipendente da quello relativo all’imposta di registro".
L’Amministrazione finanziaria censura l’operato del giudice del riesame con un unico motivo di postulante violazione dell’articolo 54 del Dpr 633/1972 in relazione al principio dell’onere della prova di cui all’articolo 2697 c.c.
Con succinta quanto sufficiente motivazione, la Corte di cassazione, in accoglimento del ricorso dell’agenzia delle Entrate, rileva che sull’argomento la giurisprudenza di legittimità (ex multis, Cassazione 19830/2008, 12899/2007,. 21055/2005, 4117/2002) ha affermato i seguenti principi:
1. l’Amministrazione finanziaria è legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale relativa al valore di avviamento, realizzata a seguito di cessione di azienda, sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro
2. è onere del contribuente superare – anche mediante ricorso a elementi indiziari – la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrando in tal modo di avere in concreto venduto il cespite a un prezzo inferiore a quello accertato.
Al riguardo, di questo riscontro effettuato dal giudice di appello non c’è traccia alcuna negli atti processuali, come testimonia la sentenza impugnata e lo stesso ricorso dell’Amministrazione.
Pertanto, la Corte suprema censura l’operato del giudice a quo che, nella specie, ha emesso la propria decisione prescindendo dalla sussistenza o meno della suddetta prova contraria offerta dal contribuente, la cui ratio decidendi si appalesa, per l’effetto, configgente con la normativa indicata nel ricorso introduttivo del giudizio di cassazione.
Osservazioni
Con l’ordinanza 21020/2009, la Cassazione conferma dunque la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di fare ricorso, in tali circostanze, alla metodologia induttiva, ribaltando completamente le pronuncia dei giudici di appello che, nella fattispecie, hanno avallato il valore dell’azienda dichiarato dal contribuente ai fini dell’imposta di registro, ma risultato notevolmente inferiore rispetto a quello ricostruito dall’ente impositore.
Ciò vuol dire, in altre parole, che gli uffici accertatori possono sindacare – mediante utilizzo dello strumento dell’accertamento induttivo (articoli 55 del Dpr 633/1972, e 39 del Dpr 600/1973) – la congruità dei valori attribuiti dal cedente dell’azienda ai singoli elementi dell’Attivo dello Stato patrimoniale (avviamento, nel caso concreto) (art. 2424 c.c.), operando l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente (articolo 2697 c.c.), il quale può vincere la presunzione (ex articolo 2729 c.c.) posta a favore dell’Amministrazione finanziaria provando, anche con ricorso a elementi indiziari, la corrispondenza del corrispettivo riscosso con quello di mercato dei beni già definitivamente accertato in altro settore impositivo.
Nella subiecta materia la Cassazione ha, infatti, consolidato l’orientamento interpretativo secondo cui, pur nella diversità dei principi relativi alla determinazione dell’imponibile nel caso di trasferimento di un bene a seconda dell’imposta che si deve applicare, quando si tratta di imposta sul reddito, ai fini dell’accertamento della plusvalenza patrimoniale di un’impresa, occorre verificare la differenza realizzata tra il prezzo di acquisto e il prezzo di cessione del bene, mentre, quando si tratta di imposta di registro, si ha riguardo al valore di mercato del bene medesimo (per tutte, sentenza 14428/2005).
Deve anche rilevarsi che è stato affermato dalla Corte di cassazione (sentenze 4117/2002, 792/2003), sulla scorta dell’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza 473/1995), che, anche in difetto di una espressa previsione normativa, deve ritenersi che i principi costituzionali di divieto di disparità di trattamento, legalità e imparzialità amministrativa e imposizione fiscale in base alla capacità contributiva, stabiliti dagli articoli 3, 97 e 53 Cost., impongano all’Amministrazione finanziaria un vincolo a precedenti accertamenti sul valore degli stessi fatti economici effettuati ai fini dell’applicazione di altro tributo, ove i fatti economici siano i medesimi e le singole leggi d’imposta non stabiliscono differenti criteri di valutazione.
La Corte di cassazione ritiene che il principio di unitarietà dell’accertamento debba essere applicato anche nelle vicende in esame, nelle quali si tratta di un medesimo cespite (l’avviamento), il cui valore deve essere determinato da diversi organi della stessa Amministrazione nello stesso contesto temporale e in relazione a uno stesso atto economico (trasferimento di azienda), per il quale le singole leggi d’imposta non impongono speciali e divergenti criteri per la determinazione del valore dell’avviamento. Infatti, sia l’articolo 54, comma quinto, del Dpr 917/1986, ai fini della tassazione diretta delle plusvalenze conseguite mediante cessione a titolo oneroso, sia l’articolo 51, quarto comma, della legge di registro (Dpr 131/1986) si limitano a stabilire che alla determinazione del valore dell’azienda trasferita concorre anche l’avviamento (Cassazione, sentenze 2575/1990, 4117/2002).
Tassazione della plusvalenza da cessione di azienda
Nella sistematica delle imposte sul reddito, la cessione d’azienda avviene nell’ambito dell’esercizio d’impresa, e la plusvalenza emergente rientra nella determinazione del reddito d’impresa in base al criterio di competenza indicato nell’articolo 75 del Dpr 917/1986, secondo la disciplina applicabile ratione temporis.
In particolare, premesso che le plusvalenze dei beni relativi all’impresa concorrono a formare il reddito se sono realizzate, tra l’altro, mediante cessione a titolo oneroso, in base al comma 2 dell’articolo 54 del Dpr 917/1986, la cessione dell’azienda come complesso unitario genera una plusvalenza fiscale data dalla differenza tra il corrispettivo pattuito e il costo non ammortizzato dei beni strumentali risultanti dal libro cespiti ammortizzabili e dall’inventario.
Il successivo comma 5 dell’articolo 54 del Tuir stabilisce poi, in modo ancora più esplicito, che concorrono alla formazione del reddito anche
le plusvalenze delle aziende, compreso il valore di avviamento, realizzate unitariamente mediante cessione a titolo oneroso (v. Cassazione, 14581/2001).
Oltre che a tassazione ordinaria per l’intera plusvalenza realizzata, che concorre a formare il reddito, o alla non più vigente imposta sostitutiva, è possibile scegliere di assoggettare la plusvalenza proveniente dalla cessione d’azienda a tassazione separata, a condizione che l’opzione sia fatta richiesta nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel quale la plusvalenza si è realizzata (cfr circolare 320/1997). La tassazione separata, secondo quanto disposto dall’articolo 18 del Dpr 917/1986, viene determinata mediante applicazione sull’importo della plusvalenza dell’aliquota Irpef corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del contribuente relativamente al biennio anteriore a quello in cui la plusvalenza è stata realizzata.
L’imposta sulle plusvalenze realizzate mediante cessione di azienda, ai sensi dell’articolo 16, comma 1, lettera g), del Dpr 917/1986, può però essere applicata separatamente solo se l’azienda è posseduta da più di cinque anni.
Fonte : IlFiscoOggi