Proprietà e leasing pari sono, almeno ai fini Iva. I conferimenti di immobili prevalentemente locati in fondi immobiliari chiusi sono esclusi dal campo di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto indipendentemente dal titolo giuridico in base al quale sono stati acquisiti. Dal punto di vista del trattamento tributario non sono infatti ammesse differenze tra chi possiede gli immobili oggetto di apporto in qualità di proprietario e chi li detiene attraverso un contratto di locazione finanziaria di natura traslativa come quello di leasing. In entrambi i casi, infatti, gli apporti non sono considerati cessioni di beni, alla stessa stregua dei conferimenti in società di aziende o rami d’azienda.
A chiarirlo è la risoluzione n. 389/E del 20 ottobre, con cui l’agenzia delle Entrate pone l’accento sulla assimilazione, almeno in materia di Iva, delle forme finanziarie scelte per l’acquisizione dei beni da apportare successivamente a un fondo immobiliare chiuso. Un orientamento che trova conferma in una recente nota del dipartimento del Tesoro del ministero dell’Economia, secondo cui "la sostanziale assimilabilità del diritto derivante dal contratto di leasing al diritto di proprietà consente di ammettere una sostanziale omologazione di tali forme giuridiche". Le agevolazioni fiscali, stando al parere del Mef, dovrebbero essere insensibili alla natura giuridica dei beni apportati, che possono essere indifferentemente sia cespiti posseduti in proprietà che condotti in leasing.
Un’interpretazione pro-contribuente che si rifà espressamente alla ratio del decreto legislativo n. 351 del 2001, che esclude dall’Iva gli apporti ai fondi immobiliari chiusi di immobili prevalentemente locati al momento dell’apporto. Si tratta infatti di operazioni riconducibili a quelle escluse da Iva per esplicita volontà del legislatore, tra cui rientrano le cessioni di aziende o rami di azienda elencate nell’articolo 2, terzo comma, lettera b, del Dpr 633/1972. Alla base della norma l’intento di facilitare i trasferimenti di impresa, favorendo la continuità nella gestione delle attività economiche. Lo stesso obiettivo si ritrova anche nel d.l. 351/2001, che accorda al cessionario, utilizzatore in leasing, la possibilità di evitare l’esposizione finanziaria per esborsi anticipati d’imposta all’atto di acquisto dell’unità produttiva, dato che l’imposta in seguito poteva essere detratta.
È in base a queste considerazioni che l’Agenzia accoglie la soluzione prospettata attraverso un’istanza di interpello da un contribuente interessato a capire quale sia il corretto trattamento Iva da applicare al conferimento in un fondo di gestione immobiliare di una serie di contratti di leasing relativi a immobili concessi in locazione. Si tratta, stando alle precisazioni della società interpellante, di contratti di cosiddetto "leasing traslativo", ossia di locazioni i cui canoni periodici servono a scontare in anticipo una quota del prezzo di riscatto. Questo, grazie ai pagamenti dilazionati nel tempo, tenderà a essere inferiore al valore di mercato del bene detenuto sino a quel momento in locazione finanziaria.
A questo si aggiunge la constatazione, rilevata dall’interpellante, che l’apporto dei contratti di leasing sarebbe riscontrabile nel bilancio della società di gestione del risparmio, in cui confluiscono le attività e le passività dei fondi immobiliari. Esattamente come accadrebbe se ad essere apportati fossero non beni in leasing, ma beni in proprietà.
Un’ulteriore conferma della sostanziale analogia tra contratto di leasing e contratto di compravendita che le Entrate considerano valida anche sul piano fiscale e della disciplina Iva.
Laura Mingioni – Fisco Oggi