Con l’ordinanza n. 1780 del 26 gennaio, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno stabilito che il contrassegno Siae ha natura tributaria e le cause che lo riguardano vanno instaurate davanti alle Commissioni tributarie provinciali.
La vicenda
Una società per azioni aveva ottenuto ingiunzione dal competente Tribunale per il rimborso di quanto corrisposto alla Siae (Società italiana autori ed editori, ente nazionale incaricato della riscossione dei diritti d’autore secondo la legge 2/2008) nel periodo 2004-2008 per il contrassegno apposto sui supporti multimediali ai sensi dell’articolo 181-bis della legge sulla protezione del diritto d’autore, la 633/1941. Nel giudizio oppositivo al decreto la società sosteneva di aver corrisposto le somme delle quali chiedeva il rimborso “in forza di un obbligo di legge dichiarato ab origine in contrasto con l’ordinamento comunitario”, giusta sentenza causa C-20/05 del 2007 della Corte di giustizia Ce sull’illegittimità del bollino.
La Siae proponeva ricorso in Cassazione per regolamento preventivo di giurisdizione, ex articolo 41 cpc, finalizzato a capire se la giurisdizione in materia spetti al giudice ordinario o a quello tributario (si ricorda che il regolamento “preventivo” di giurisdizione è strumento per evitare che si proceda davanti a un giudice sfornito di giurisdizione e si veda poi cassata la sentenza dalla Suprema corte).
Pertanto, con tale strumento, sottoponeva all’esame della Suprema corte la questione concernente la natura giuridica del contrassegno previsto dal riferito articolo 181-bis della legge 633/1941 (la cui disciplina è regolamentata dal Dpcm 31/2009), al fine di stabilire se la competenza decisoria della vertenza appartenga alla giurisdizione del giudice ordinario ovvero del giudice tributario.
La pronuncia del giudice comunitario
Occorre aggiungere che, con la pronuncia causa C-20/05 del 2007 (la “Schwibbert”), la Corte di giustizia ha chiarito che l’obbligo di apporre il contrassegno Siae sui supporti contenenti programmi multimediali o per elaboratore costituisce una regola tecnica, secondo quanto disposto dalla direttiva comunitaria 189/1983, regola che, qualora non notificata alla Commissione, risulta inopponibile al privato.
Il caso sul quale la Corte europea è stata chiamata a pronunciarsi scaturì da una istanza presentata davanti ai giudici comunitari, a seguito della sollecitazione al giudicante nazionale, proposta dal signor Schwibbert, accusato del reato di cui all’articolo 171-ter della legge 633/1941, per aver detenuto illecitamente compact disc privi del contrassegno Siae. Infatti, ai sensi dell’articolo 181-bis della stessa legge, la Società italiana autori ed editori, appone un contrassegno su ogni confezione contenente programmi per elaboratore o multimediali, nonché su qualsiasi supporto che comprenda voci, suoni o immagini in movimento, al fine di garantire il solo rispetto dei diritti relativi alle opere d’ingegno, dunque, per tutelare l’originalità dell’opera.
L’istanza verteva sull’interpretazione degli articoli 3, 23 e 27 della direttiva 98/34/Ce, che prevede una procedura di comunicazione alla Commissione europea nel settore delle norme, delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione. Secondo tale direttiva, infatti, gli Stati membri hanno l’obbligo di informare preventivamente la Commissione europea dell’adozione di regole e specificazioni tecniche o altri requisiti del prodotto.
Nella decisione, la Corte ha avuto modo di osservare e chiarire come il bollino rientri propriamente nell’ambito di quelle che la direttiva definisce “specificazioni tecniche”, ovvero misure nazionali necessariamente riferite al prodotto o al suo imballaggio o che definiscono una delle caratteristiche fisiologiche di un manufatto. In effetti, tale contrassegno riguarda la marcatura e l’etichettatura, pertanto, “dal momento che l’osservanza di detta specificazione è obbligatoria, secondo diritto, per la commercializzazione dei prodotti di cui trattasi, la precisazione in parola costituisce, vieppiù, una “regola tecnica” ai sensi dell’articolo 1, punto 11, primo comma, della direttiva in questione”.
L’apposizione del contrassegno, avente la funzione di informare il consumatore sull’originalità e la legalità dell’opera, viene effettuata sul supporto che contiene il prodotto stesso. Considerando la caratteristica immaterialità dell’opera d’ingegno, il supporto ne forma la materializzazione, dunque, l’etichetta apposta sul prodotto si trasforma in una specificazione tecnica che, a sua volta, diventa regola, a mezzo di una norma che ne istituzionalizza il processo di originalità.
La sentenza
Le sezioni unite della Cassazione, decidendo la vertenza, hanno stabilito al riguardo i seguenti principi:
- la funzione del contrassegno Siae è quello di autenticazione del prodotto al fine della sua commercializzazione, in modo da garantire il consumatore, attraverso uno strumento di immediata verificabilità, che il bene acquistato è legittimo e non un “prodotto pirata” (si tratta di una funzione eminentemente pubblica a vantaggio della collettività e non del richiedente che ne sopporta il costo)
- il costo è a carico del richiedente al di fuori di uno schema sinallagmatico e assume i connotati di una “imposta di scopo”, destinata a finanziare la spesa per l’esercizio della specifica attività di controllo affidata alla Siae. Sussistono, pertanto, le condizioni per attribuire al contrassegno natura tributaria, con la conseguente devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice delle tasse.
In particolare, le sezioni unite, sancendo la natura tributaria del contrassegno, affermano che resta in ogni caso irrilevante il “nomen iuris attribuito dal legislatore alla prestazione patrimoniale imposta”. Da ciò deriva, alla luce della nuova formulazione dell’articolo 2 del Dlgs 546/1992, l’attribuzione delle controversie relative alla giurisdizione delle Ct, alla quale appartengono tutte le cause relative ai tributi di ogni genere e specie, comunque denominati.
Sulla scorta della giurisprudenza costituzionale (sentenze 64/2008, 334/2006 e 73/2005), due sono gli elementi valorizzati dalla Corte regolatrice nel raggiungimento di tali conclusioni:
- la doverosità della prestazione, nel senso che coloro che intendono commercializzare un supporto relativo alle opere dell’ingegno, devono richiedere il rilascio del contrassegno pagandone il relativo costo, senza avere alcuna possibilità di scelta in ordine alla prestazione
- il collegamento della prestazione imposta alla spesa pubblica è costituito, da un lato dalla legittima utilizzazione e vendita delle opere d’ingegno, dall’altro dalla necessità di controllare la regolare commercializzazione delle stesse opere.
Questa interpretazione non è smentita dalla previsione dell’articolo 1, comma 2, della legge 2/2008, che detta disposizioni concernenti la Società italiana autori ed editori. Secondo tale norma, infatti, “tutte le controversie concernenti l’attività dell’ente, ivi incluse le modalità di gestione dei diritti, nonché l’organizzazione e le procedure di elezione e di funzionamento degli organi sociali, sono devolute alla giurisdizione ordinaria, fatte salve le competenze degli organi della giurisdizione tributaria”.
Il senso della “clausola di salvaguardia” delle “competenze degli organi della giurisdizione tributaria” non può essere ridotto all’ambito delle controversie che oppongono la società, come ogni altro contribuente, all’Amministrazione fiscale, ma deve essere inteso, anzi, come espressione della volontà del legislatore di non derogare alla giurisdizione tributaria quando mancano i presupposti.
Fonte: Salvatore Servidio da nuovofiscooggi.it