La Suprema corte ribadisce il principio e “difende” la correttezza costituzionale della vecchia normativa
Per contributi previdenziali versati “in ottemperanza a disposizioni di legge”, vale a dire gli unici deducibili dal reddito fino alla riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare (attuata con il Dlgs 47/2000), si intendono solamente quelli obbligatori e non anche i contributi pagati volontariamente. Lo ha ribadito la Cassazione con la sentenza n. 8208 dell’11 aprile scorso.
Il fatto
La decisione della Corte di Cassazione
La situazione attuale
La pronuncia, pur ricalcando le conclusioni cui era già giunta più volte la Suprema corte (da ultimo, con la sentenza 18518/2005), offre interessanti spunti di riflessione, considerato l’esame di correttezza costituzionale della norma, vigente all’epoca dei fatti, che i giudici sono stati sollecitati a compiere.
Il fatto
Il contribuente, dopo essere stato licenziato dal suo datore di lavoro, aveva continuato a versare i contribuiti previdenziali al proprio ente pensionistico, previa autorizzazione di quest’ultimo.
Successivamente, chiedeva all’Amministrazione finanziaria il rimborso dell’Irpef pagata in eccedenza nel 1999, affermando di aver indicato erroneamente, nella dichiarazione dei redditi, i contributi previdenziali versati tra gli oneri detraibili (articolo 13-bis, lettera f, del Tuir), invece che tra gli oneri deducibili (articolo 10, comma 1, lettera e, del Tuir).
Per inciso, fino al 31 gennaio del 2000, il Tuir riservava ai contributi previdenziali e assistenziali “versati in ottemperanza a disposizioni di legge” (articolo 10) un trattamento fiscale differente rispetto a quelli “non obbligatori per legge” (articolo 13-bis). Mentre, infatti, i primi erano oneri deducibili dalla base imponibile Irpef, i secondi potevano essere detratti dall’imposta nella misura del 27% fino al limite di 2,5 milioni di lire.
Tornando alla vicenda processuale, a seguito del silenzio rifiuto dell’Amministrazione finanziaria il contribuente presentava ricorso, rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Padova. Il conseguente appello era, invece, accolto dalla Ctr Veneto, per i cui giudici (sentenza n. 50/04/05, del 2 maggio 2005) la prosecuzione volontaria dei versamenti dei contributi previdenziali da parte del dipendente, dopo il licenziamento, era avvenuta in ottemperanza a disposizioni di legge; quindi, “per identità di funzioni e caratteristiche”, si doveva applicare lo stesso regime previsto dall’articolo 10 del Tuir, per i contributi previdenziali obbligatori.
L’Agenzia delle Entrate proponeva il ricorso in Cassazione.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte ha accolto il ricorso, affermando che i contributi previdenziali e assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge – deducibili dal reddito – sono solo quelli dovuti obbligatoriamente perché in presenza di un rapporto di lavoro dipendente. Fra questi non rientrano i contributi versati volontariamente (seppur necessari per conseguire un trattamento pensionistico), a seguito dell’autorizzazione dell’ente previdenziale e in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, per i quali era, invece, stabilita la parziale detraibilità.
In altri termini, la Cassazione ha messo in evidenza come poco decisiva fosse l’osservazione per cui anche i versamenti non obbligatori sono regolati dalla legge. L’intero funzionamento dell’assicurazione obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti è disciplinato dalla legge. Attrarre anche i contributi volontari fra quelli deducibili avrebbe, quindi, tolto contenuto all’articolo 13-bis del Tuir, a quel punto inutile se non sistematico e incoerente.
Ma, come anticipato, la parte più interessante della sentenza n. 8208/2011 risiede nella richiesta effettuata dal contribuente di una interpretazione “costituzionalmente orientata” dell’articolo 10 del Tuir che, a suo parere, sarebbe risultato in contrato con gli articoli 3, 35, 38 e 53 della Costituzione, nel caso avesse lasciato fuori dal proprio ambito di applicazione un versamento contributivo comunque – essendo egli stato licenziato – necessario al conseguimento della sua unica pensione.
A tal riguardo, la Suprema corte ha, prima di tutto, precisato che la disciplina degli oneri deducibili costituisce, in tutto e per tutto, materia riservata alla discrezionalità del legislatore, che, accordando comunque ai contributi volontari il beneficio della detraibilità, aveva disciplinato la materia “in modo non manifestamente irragionevole”.
I giudici hanno, poi, respinto le censure di “costituzionalità”, osservando la non violazione dell’articolo 3 (principio di eguaglianza), perché la condizione del lavoratore, obbligato a prestare le propria attività alle dipendenze di terzi, non è sovrapponibile a quella di un soggetto (come il contribuente) che tale non è. Circostanza che scongiura, in un colpo solo, anche la pretesa violazione degli articoli 53 (capacità contributiva), 35 (tutela dei lavoratori) e 38 (assistenza sociale dello Stato).
La situazione attuale
Per completezza, si ricorda che con il decreto legislativo n. 47 del 2000 (“Riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare, a norma dell’articolo 3 della legge 13 maggio 1999, n. 133”), il legislatore ha equiparato il trattamento fiscale delle due tipologie di contributi, prevedendo, a partire dal 1° gennaio 2001, la deducibilità anche di quelli versati facoltativamente alla gestione della forma pensionistica obbligatoria di appartenenza. Un cambio di regole, comunque, non applicabile al caso in questione, avuto origine nel 1999.
Fonte : IlFiscoOggi