L’articolo 13, parte A, n. 1, lett. f), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, deve essere interpretato nel senso che, fatto salvo il soddisfacimento delle altre condizioni previste dalla disposizione, le prestazioni di servizi fornite ai membri da parte di associazioni autonome beneficiano dell’esenzione anche qualora tali prestazioni siano fornite ad uno solo o ad alcuni di detti membri. È la pronuncia resa dai giudici comunitari nella causa C-407/07.
La normativa europea
L’articolo 13 della sesta direttiva, infatti, prevede che, in materia di esenzioni a favore di alcune attività di interesse pubblico, gli Stati membri possano esonerare dall’applicazione dell’Iva, le prestazioni di servizi effettuate da associazioni autonome di persone che esercitano un’attività esente o per cui non hanno la qualità di soggetti passivi, per rendere ai loro membri i servizi direttamente necessari all’esercizio di tale attività. Tale esenzione può essere riconosciuta a condizione che le associazioni in questione richiedano ai loro membri l’esatto rimborso della parte delle spese comuni loro spettante e che il meccanismo dell’esenzione non provochi distorsioni di concorrenza.
I termini della questione pregiudiziale
La questione pregiudiziale posta dinnanzi ai giudici comunitari verte, quindi, sull’interpretazione dell’articolo 13, parte A, n. 1, lett. f), della sesta direttiva e in particolare è stato chiesto loro se questa disposizione possa essere applicata anche nel caso in cui le prestazioni siano fornite a uno solo dei membri dell’associazione o ad alcuni di essi.
Le osservazioni presentate
La società coinvolta e la Commissione delle Comunità europee propongono di risolvere in modo affermativo la questione rilevando che, in mancanza di ciò, risulterebbe fortemente limitato il riconoscimento delle esenzioni a questo tipo di associazioni. La società rileva, inoltre, che la prestazione rivolta soltanto ad alcuni dei membri è una condizione necessaria per la soddisfazione delle esigenze dei membri stessi. Quest’ultimi, infatti, non operando in tutti i settori della sanità e non svolgendo attività omogenee, non possono avvalersi di tutte le attività esercitate nell’ambito dell’associazione. Le prestazioni fornite, inoltre, rileva sempre la società, vengono fatturate per un importo corrispondente al costo effettivo sostenuto, in modo tale che le spese comuni siano fatturate in base alla quota di propria competenza.
La posizione del governo olandese
Secondo il governo olandese, invece, la questione deve essere risolta in senso negativo e in particolare occorre stabilire se il tipo di prestazione oggetto della controversia sia fornita nell’interesse comune, collettivo, di tutti i membri o se invece è effettuata nell’interesse particolare e individuale di un solo membro. Il governo olandese, inoltre, rileva un rischio di distorsione di concorrenza nel caso in cui le remunerazioni riflettano solo i costi diretti delle prestazioni stesse. Infatti, secondo la lettura del governo, i costi effettivi, che dovrebbero comprendere sia i costi diretti che i costi indiretti, sono di difficile determinazione, soprattutto qualora la società effettui prestazioni a favore di un solo membro o di alcuni di essi, mentre condizione necessaria per usufruire dell’esenzione è proprio la determinazione di rimborso esattamente pari alla parte delle spese comuni spettanti ai membri dell’associazione stessa.
La posizione della Corte
I giudici comunitari rilevano, in primo luogo, che la competenza nello stabilire le condizioni di applicazione dell’esenzione, sia con riferimento all’oggetto della prestazione che alla distorsione di concorrenza, non deve essere riferita alla Corte ma al giudice nazionale, di conseguenza spetta a quest’ultimo accertare i fatti che hanno dato origine alla causa. In tale ottica, gli eurogiudici partono dalla premessa sulla quale si è basato il giudice di rinvio, ovvero che le prestazioni di servizi sono direttamente necessarie all’esercizio delle attività esenti dei membri della società e che non vi sono distorsioni di concorrenza. I giudici comunitari sottolineano, inoltre, che le esenzioni di cui all’articolo 13 della sesta direttiva, sono sicuramente espressione di una deroga al principio generale secondo cui l’Iva deve essere riscossa a ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo, allo stesso tempo, però, chiariscono che, per non compromettere gli obiettivi della normativa, non si deve incorrere in una interpretazione eccessivamente restrittiva.
Le finalità della disposizione normativa
Obiettivo della disposizione è quello di concedere l’esenzione qualora la fornitura di alcuni servizi venga effettuata in collaborazione con altri professionisti mediante una struttura comune che svolge talune attività necessarie al compimento della prestazione stessa. In questo senso, l’interpretazione del governo olandese, che nega l’applicazione nell’ipotesi in cui la prestazione sia rivolta ad alcuni membri dell’associazione, non consentirebbe di conseguire le finalità proprie della disposizione qualora ci si trovi in un contesto in cui le esigenze dei vari membri differiscono.
L’imputazione dei costi comuni
Per quanto attiene, poi, alla difficoltà di imputazione dei costi comuni, i giudici comunitari rilevano che, anche quando le prestazioni siano fornite ad uno solo membro, o ad alcuni di essi, il costo della fornitura di tutte queste prestazioni resta una spesa comune in cui è incorsa l’associazione a tal fine costituita ed i metodi di contabilità analitica sono tali da consentire di individuare la parte esatta di tale spesa imputabile a ciascuno dei servizi considerato individualmente. Da ciò si evince che, ai fini del riconoscimento dell’esenzione non è necessario che la prestazione sia rivolta a tutti i membri dell’associazione ma deve essere riconosciuta, salvo il soddisfacimento delle altre condizioni previste dalla disposizione, anche nel caso in cui sia fornita a uno solo dei membri o ad alcuni di essi.
Maria Ingraffia – Fisco Oggi