Così portavano i soldi nei paradisi fiscali

Uno schema semplice, ma soprattutto valido per qualsiasi tipo di cliente. Dal piccolo al grande imprenditore. Un così fan tutti , che svela uno dei volti, forse il meno pulito dell’imprenditoria italiana, quello della creazione dei fondi neri all’estero, che, come ha svelato l’inchiesta Enipower, ha interessato perfino il gruppo del presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Il raggiro ideato dal commercialista Siro Zanoni e dall’affarista Mario Merello, era tuttavia più banale, meno sofisticato e consisteva nel creare società in qualche paradiso fiscale col solo scopo di emettere fatture false per prestazioni inesistenti.

Le società italiane ricevevano dalle società estere fatture per polizze assicurative fasulle o per consulenze e prestazioni di servizi generiche, che in realtà non erano mai state effettuate. Le fatture venivano comunque pagate, ottenendo due benefici: il primo, esportare capitali all’estero, il secondo, gonfiare i costi della società, in modo da abbattere l’utile del gruppo e di conseguenza pagare meno tasse. Il nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano ha stimato che le 80 società della lista Pessina insieme hanno emesso fatture false per oltre 300 milioni di euro.

Una volta trasportato il malloppo all’estero, l’imprenditore decideva cosa farne. Chi preferiva conservarlo nei paradisi fiscali, sceglieva di ricevere il bottino attraverso bonifici in altre società ubicate sempre in paradisi fiscali e schermate da fiduclari. Chi lo voleva rimpatriare ricorreva al buon vecchio metodo dello spallone , con consegna a domicilio del contante. Mediamente, secondo i calcoli degli inquirenti, la consulenza del duo Zanoni-Merello costava il 10% del capitale esportato.

Fonte: W.G. Repubblica di venerdì 6 novembre 2009, pagina 25

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