E’ legittima la rettifica del reddito di una società, fondata sulle risultanze dell’accertamento effettuato a carico dei fornitori (nel caso in esame, due società emittenti fatture per operazioni inesistenti).
E’ quanto emerge, sinteticamente, dalla lettura della sentenza della Cassazione n. 27637 del 21 novembre 2008.
Il ricorso alla Suprema corte da parte dell’Amministrazione faceva seguito alla pronuncia della Ctr, per la quale l’ufficio non aveva prodotto alcuna argomentazione idonea a conferire validità all’accertamento, fondato su una serie di congetture relative a soggetto diverso dall’appellato e, pertanto, a questo non opponibili.
La Cassazione ha ricordato come fosse proprio l’articolo 39, primo comma, lettera c), del Dpr 600/1973, a consentire la rettifica del reddito di impresa anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta “dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti”. In tali casi, secondo confermata giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione, sentenza 28342/2005), l’esistenza di attività non dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, con conseguente inversione dell’onere della prova (Cassazione, sentenze 9755/2003 e 17016/2002), spettando al contribuente dimostrare, malgrado la presenza di scritture contabili formalmente corrette (Cassazione, sentenza 6337/2002), l’infondatezza della pretesa fiscale (Cassazione, sentenza 4601/2002).
Per inciso, i giudici hanno anche censurato le motivazioni della sentenza di secondo grado, che si risolve in un susseguirsi di formule stilizzate, comunque disancorate dalla puntuale e specifica disamina delle risultanze processuali, cui dovrebbe invece attenersi il giudicante. Ricorre, infatti, il vizio di omessa motivazione nella duplice manifestazione di “difetto assoluto” o di “motivazione apparente”, quando il giudice di merito ometta di evidenziare nella sentenza gli elementi da cui egli ha tratto il proprio convincimento, ovvero indichi tali elementi senza un’approfondita disamina logica e giuridica, “rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (cfr Cassazione, sentenze 1756/2006, 2067/1998 e 3114/1995).
Osservazioni
Nel campo dell’imposizione diretta e dell’Iva, la presunzione indiziaria determina l’inversione dell’onere della prova e legittima, nello specifico, l’esercizio del potere di accertamento induttivo (Cassazione, sentenze 11645/2001 e 1628/1995); ciò non perché l’Amministrazione finanziaria non abbia l’onere di dimostrare la fondatezza della propria pretesa impositiva (Cassazione, sentenze 7477/2002 e 8459/2000), ma perché tale prova può essere data mediante presunzioni fondate su indizi che, nel caso concreto, possono anche consistere in documentazione fornita dei necessari requisiti di gravità e precisione, essendo l’ulteriore elemento della concordanza richiesto solo in presenza di una molteplicità di indizi (Cassazione, sentenze 4472/2003, 914/1999 e 1377/1993).
Si riporta, infine, quanto la Suprema corte ha statuito (a rafforzare gli assunti della sentenza 27637/2008) con la pronuncia 28782/2008. I giudici hanno affermato che l’Amministrazione finanziaria può disconoscere la detrazione di operazioni Iva senza esaminare la contabilità del contribuente se l’inesistenza risulta “direttamente da ispezioni presso terzi”. In particolare, uno dei casi in cui l’ufficio può procedere a rettifica “indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità, del contribuente” è proprio quello in cui l’indebita utilizzazione di fatture passive, che darebbero diritto alla detrazione se si riferissero a operazioni commerciali effettive, risulta in modo certo e diretto da verbali relativi a ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, nonché da altri atti e documenti in suo possesso (articolo 54, comma 3, Dpr 633/1972). In tale caso, senza pregiudizio per l’ulteriore azione accertatrice…, l’ufficio “può limitarsi ad accertare…il minor credito spettante”, se “risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza…di detrazioni in tutto o in parte non spettanti” (comma 5).
Salvatore Servidio