In particolare è stato chiesto ai giudici comunitari di valutare se lo Stato membro di residenza del donatore possa, senza violare il principio della libera circolazione dei capitali sancito dagli articoli 56 e 58 del Trattato, subordinare la deducibilità dell’erogazione liberale alla circostanza che l’ente beneficiario è situato sul territorio nazionale. La questione sottoposta all’esame della Corte di Giustizia dell’Ue riguarda la controversia insorta con l’Amministrazione fiscale tedesca in ordine alla deducibilità delle erogazioni liberali fatte da un soggetto residente in favore di un’associazione avente fini assistenziali e localizzata in altro Stato membro. Si rammenta che gli articoli menzionati, pur vietando ai Paesi membri di introdurre restrizioni ai movimenti di capitali transfrontalieri, consentono, tuttavia, agli stessi di adottare le misure necessarie a tutela degli interessi erariali, a condizione, però, che tali misure non rappresentino un mezzo di discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all’articolo 56 CE.
I termini della controversia
La controversia in esame verte sul rifiuto opposto dall’Amministrazione fiscale tedesca alla deducibilità da parte di un contribuente tedesco, il signor Persche, di una erogazione liberale in favore di un centro di assistenza situato in Portogallo. In particolare, l’erario tedesco ritiene non spettante la deduzione operata in quanto: a) il beneficiario della stessa non risiede in Germania; b) il signor Persche non ha prodotto, contravvenendo a quanto disposto dalla legislazione in materia, l’apposita certificazione attestante lo status di "ente assistenziale preposto allo svolgimento di scopi di interesse generale, filantropici o di culto" dell’organismo beneficiario della donazione.
Movimenti di capitale, donazioni e legati
Investita della questione la Corte ha inteso sgombrare il campo dagli equivoci relativi alla nozione di movimento di capitali: essa ha, difatti, precisato che se è vero che tale nozione fa riferimento ad "operazioni finanziarie che riguardano essenzialmente la collocazione o l’investimento dell’importo di cui trattasi", è pur vero altresì che tale definizione non esaurisce la nozione di "movimento di capitali ai sensi dell’articolo 56 CE", dovendo ricomprendersi in essa anche i movimenti di capitale a carattere personale, quali le donazioni ed i legati.
L’analisi della questione nel merito
Fatta tale doverosa precisazione, i giudici comunitari passano ad esaminare il merito della questione e, cioè, se le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali si conciliano con la normativa di uno Stato membro (Germania) che riserva la possibilità di deduzione fiscale alle donazioni effettuate a favore di enti riconosciuti di interesse generale stabiliti nel territorio nazionale atteso che l’effettività dei controlli fiscali è obiettivamente perseguibile soltanto nei confronti dei soggetti residenti nello Stato. A tale proposito la Corte rammenta che, secondo una giurisprudenza costante, la necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali può costituire un motivo imperativo d’interesse generale idoneo a giustificare una restrizione all’esercizio delle libertà di circolazione garantite dal Trattato. Tuttavia, affinché una misura restrittiva sia giustificata, essa deve rispettare il principio di proporzionalità, nel senso che deve mostrarsi idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo che essa persegue senza eccedere quanto è necessario per conseguirlo. Con riferimento al caso di specie, e, cioè, la pretesa difficoltà invocata dal governo tedesco di condurre degli accertamenti al di fuori del territorio nazionale, i giudici, rifacendosi alla sentenza Walter Stauffer, rilevano che "la circostanza che tali accertamenti siano resi più difficili in caso di fondazioni con sede in altri Stati membri costituisce un semplice inconveniente amministrativo che non è sufficiente a giustificare un rifiuto da parte delle autorità dello Stato di cui trattasi di concedere alle dette fondazioni le esenzioni fiscali concesse ad enti analoghi con sede nello Stato". Difatti, se è vero, come sostiene il governo tedesco, che risulta più difficile ottenere la collaborazione di un ente stabilito in un altro Stato membro qualora lo stesso non sia neppure parzialmente assoggettato a imposta nello Stato in cui è richiesto il vantaggio fiscale di cui trattasi, il rifiuto assoluto di concedere al donatore la possibilità di fornire gli elementi di prova relativi al carattere socio-assistenziale dell’ente beneficiario, appare sproporzionato rispetto all’obiettivo che la misura fiscale tedesca intende perseguire. Né, tantomeno, la posizione del governo tedesco può essere giustificata dalla presunta inadeguatezza del meccanismo della reciproca assistenza, istituito dalla direttiva 77/799, al punto da legittimare, in circostanze come quelle di specie, il rifiuto sistematico di concedere la deduzione fiscale di una donazione offerta ad un ente stabilito in un altro Stato membro.
I precedenti di giurisprudenza
I giudici, difatti, ricordano che in passato la Corte affermò che uno Stato membro non può invocare, per giustificare il rifiuto di un vantaggio fiscale, l’impossibilità di sollecitare la collaborazione di un altro Stato membro per effettuare ricerche o raccogliere informazioni reputate necessarie per la corretta determinazione dell’imposta. Da quanto detto ne consegue, a parere della Corte, che nella fattispecie in esame occorre contemperare, da un lato, la piena attuazione del principio della libera circolazione dei capitali con gli obiettivi limiti della reciproca assistenza tra le amministrazioni fiscali degli Stati membri prevista dalla direttiva 77/799. Ciò comporta che le autorità fiscali dello Stato di residenza del donatore sono comunque legittimate a pretendere che il donatore dimostri il carattere assistenziale dell’ente beneficiario della donazione. Esse, tuttavia, non potranno rifiutare la deduzione senza aver prima tenuto conto delle difficoltà cui quest’ultimo è andato incontro per procurarsi le prove richieste e senza aver esaminato, in considerazione di tali difficoltà, le possibilità reali di ottenere tali prove con l’assistenza delle autorità competenti di un altro Stato membro nell’ambito del meccanismo previsto dalla direttiva 77/799. Spetterà, quindi, al giudice nazionale accertare se il rifiuto di concedere la deduzione fiscale richiesta, senza avvalersi della collaborazione tra le amministrazioni nazionali stabilita dalla direttiva 77/799, si fondi su una valutazione seria dei fatti.
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