Qualora l’Amministrazione finanziaria fornisca validi elementi di prova per contestare l’emissione di fatture “false”, grava sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni. Questo è quanto ribadito dai giudici della Suprema corte con la sentenza n. 15395 dell’11 giugno scorso.
La vicenda trae origine da un contratto di nolo a freddo per l’effettuazione di lavori “movimento terra”, appaltato alla ditta ricorrente e da questa subappaltato ad altra impresa edile. Dall’esame della documentazione contabile risultava una notevole differenza tra il corrispettivo pattuito nel contratto di sub-appalto e i relativi pagamenti.
L’ufficio, pertanto, recuperava a tassazione la differenza tra i due importi, in quanto presumibilmente ascrivibile a prestazioni mai effettuate dal subappaltante.
La ditta ricorrente, beneficiaria della sovrafatturazione, a sostegno della propria tesi, a fronte dell’onere probatorio assolto dall’ufficio, faceva un generico riferimento alla mancata definizione degli accordi commerciali con la ditta appaltante, nonché a un tacito rinnovo del contratto di subappalto che, però, non era stato oggetto di rilievo da parte dell’Amministrazione, non fornendo, dunque, elementi idonei a “smontare” la rettifica operata.
La decisione della Corte
La questione, secondo i giudici di piazza Cavour, andava inevitabilmente affrontata in ambito di “presunzioni”, come si evince del resto dalla lettura del secondo comma dell’articolo 54, Dpr 633/1972, essendo di tutta evidenza che non sia possibile, se non in via induttiva, fornire la prova dell’inesistenza di un fatto.
In tema di accertamento delle imposte sui redditi e di Iva, se è vero che da un lato incombe sull’Amministrazione finanziaria, nel quadro dei generali principi che governano l’onere della prova, dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, con elementi e circostanze che suffraghino adeguatamente la prova della effettiva sussistenza di un maggior reddito imponibile, lo è altrettanto che il contribuente deve, a sua volta, dimostrare i fatti sui quali fonda le eccezioni sollevate (cfr Cassazione, sentenze15228 e 13662 del 2001).
Regime delle prove
Su chi gravi l’onere della prova nelle differenti situazioni di un elemento negativo di reddito non inerente, ovvero inesistente, è stato argomento largamente trattato dalla giurisprudenza di legittimità.
Il principio è di derivazione civilistica, per cui chi vuole far valere in giudizio un diritto deve provare i fatti sui quali lo stesso è fondato.
Per effetto di ciò, è generalmente ricondotto in capo al contribuente l’onere di fornire dimostrazione che l’elemento passivo, oltre che esistente, è altresì connotato dal requisito dell’inerenza cui il legislatore fa derivare anche la detraibilità ai fini Iva, ex articolo 19 del Dpr 633/1972.
La deduzione del costo, è, in definitiva, un diritto del contribuente, il cui esercizio è subordinato all’assolvimento dell’onere di dimostrare la sussistenza dei requisiti cui il legislatore ne subordina la deducibilità, nell’ipotesi di controllo da parte degli uffici finanziari; l’Amministrazione, infatti, deve essere in grado di valutare la effettiva deducibilità e detraibilità di quanto dichiarato dal contribuente con elementi che solo questi, spesso, è in grado di fornire.
Le norme contenute negli articoli 21, comma 2, lettera b), Dpr 633/1972, ovvero 2214, comma 2, Codice civile, se disattese, implicano, di fatto, l’inversione dell’onere della prova, che, dall’Amministrazione finanziaria viene traslato in capo al contribuente. In ogni caso, però, quando il contribuente osservi le prescrizioni di legge in merito alla regolare tenuta delle scritture contabili, l’onere della prova grava inevitabilmente sull’Amministrazione finanziaria che può avvalersi, però, delle presunzioni di cui all’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973.
Diversa è l’ipotesi in cui la contestazione di elementi passivi fittizi configuri violazioni penalmente rilevanti (Dlgs 74/2000). In questo caso, gli elementi di prova raccolti devono essere vagliati in maniera molto rigida, assumendo particolare rilevanza, in questa fattispecie, l’elemento psicologico (in particolare nelle due ipotesi di dichiarazione fraudolenta, di cui agli articoli 2 e 3 del Dlgs 74/2000) del dolo.
E’ indubbio che la prova degli elementi integranti la fattispecie del reato incomba sull’Amministrazione finanziaria, non essendo possibile la configurazione di una fattispecie fraudolenta basata esclusivamente sull’omissione degli obblighi relativi alla regolare tenuta delle scritture contabili; ma è altrettanto vero che, in tale circostanza, la correttezza formale della contabilità non può diventare un alibi dietro il quale celarsi, per commettere ogni possibile violazione delle leggi fiscali. L’onere relativo alla effettiva esistenza delle operazioni contestate dall’Amministrazione finanziaria non può essere assolto nemmeno dalla mera dimostrazione d’esistenza di mezzi di pagamento, formalmente regolari sebbene del tutto fittizi, in quanto configuranti, normalmente, dei meri giroconti contabili.
Clarissa Ungaro – Fisco Oggi