La Corte di cassazione, con sentenza n. 874 del 15 gennaio 2009, intervenendo su un problema pratico frequente, ha accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria stabilendo, in tema di contenzioso tributario, che l’atto di appello proposto dall’ufficio dell’agenzia delle Entrate è ammissibile, anche se riporta la firma illeggibile di un funzionario che sottoscrive al posto del direttore titolare.
Ciò in considerazione del fatto che "la titolarità del potere di impugnazione delle sentenze delle Commissioni tributarie è attribuita all’ufficio dell’Amministrazione finanziaria ed esercitata attraverso gli organi e le persone fisiche che ne ricoprono i relativi incarichi. Conseguentemente, ancorché in calce all’atto sia apposta una firma non leggibile deve presumersi che lo stesso provenga dall’ufficio e ne costituisca manifestazione di volontà (salva la dimostrazione di usurpazione di poteri o non appartenenza del soggetto che ha vergato l’atto all’Amministrazione medesima), non essendo peraltro necessario il conferimento di una procura institoria al funzionario cui è affidata la cura del settore del contenzioso essendo sufficiente apposita delega".
Il fatto
La vicenda trae origine dall’impugnazione di un avviso di rettifica, con la quale il destinatario ne denunzia, oltre all’infondatezza nel merito, l’illegittimità sotto vari profili.
La Commissione tributaria provinciale accoglie il ricorso relativamente ad alcune riprese a tassazione, ma il conseguente appello delle Finanze viene dichiarato inammissibile, perché asseritamente mancante della sottoscrizione del direttore titolare dell’ufficio. In particolare, il giudice del riesame sostiene che legittimato a impugnare la sentenza di primo grado sarebbe esclusivamente il direttore dell’ufficio. In questo caso, invece, l’atto di impugnazione risulta sottoscritto dal capo team legale e dal capo area Controllo, persone sfornite, ad avviso del giudicante, di qualsiasi legittimazione. L’atto processuale proverrebbe, dunque, da persona diversa dal direttore titolare, peraltro non identificabile per avere apposto sul documento, accanto al timbro nominativo di quest’ultimo, una sottoscrizione illeggibile. Pertanto, secondo la Commissione tributaria regionale, mancherebbe alla persona che ha sottoscritto l’impugnazione la legitimatio ad causam, "stante, in ogni caso, la mancanza anche di un’apposita procura institoria rilasciata ai sensi e per gli effetti dell’art. 77 c.p.c.".
L’Amministrazione finanziaria ha proposto, quindi, ricorso per cassazione, censurando la sentenza impugnata per avere affermato:
che titolare del potere di impugnazione sia il direttore dell’ufficio anziché, impersonalmente, l’ufficio stesso
che sia necessario, al fine della legittimazione ad impugnare, il conferimento con ampia delega di procura institoria al funzionario preposto al settore contenzioso
che l’illeggibilità della sottoscrizione dell’atto di impugnazione comporti l’inammissibilità dell’appello.
Il thema decidendum vede dunque contrapposta la tesi dell’Amministrazione, che afferma che l’appello è stato ritualmente proposto, in nome e per conto del direttore dell’ufficio ricorrente, ancorché (legittimamente) sottoscritto dal capo area Controllo, e l’assunto del contribuente, che sostiene l’infondatezza del ricorso, rilevando che non risulta provato che il sottoscrittore fosse stato specificamente delegato alla proposizione dell’appello.
La decisione
La Cassazione, disattendendo le conclusioni dei giudici di merito, ritiene la censura complessivamente fondata, e stabilisce il seguente principio di diritto: "Deve ritenersi ammissibile l’atto d’appello proposto dal competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate, recante in calce la firma illeggibile di un funzionario che sottoscrive in luogo del direttore titolare; finché non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza di primo grado".
Nello specifico, partendo proprio dalla veridicità dell’attestazione dell’organo giudicante circa la sottoscrizione sostitutiva, la Corte sottolinea che, una volta appurato che l’atto in questione è sottoscritto da funzionario che firma in luogo del direttore titolare, si tratta di conseguenza di stabilire, a tal fine:
se fosse necessaria una procura ad hoc
se l’illeggibilità della firma potesse inficiare la validità dell’atto
se, per l’effetto, l’eventuale invalidità sia suscettibile di sanatoria o, in mancanza, sia rilevabile ex officio.
Sul piano normativo, nelle controversie tributarie gli articoli 10 e 11, comma 2, del Dlgs 546/1992 riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio, oggi, all’ufficio locale dell’agenzia delle Entrate, organicamente rappresentato dal direttore o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi per ciò stesso delegata in via generale a sostituire il direttore nelle specifiche competenze, senza necessità di procura speciale (cfr Cassazione, sentenze 3058/2008, 6338/2008, 13908/2008).
Nel convalidare le argomentazioni dell’Amministrazione finanziaria, la Suprema corte fa anche leva – proprio con riferimento all’architettura organizzativa dei pubblici poteri – su un altro parametro, considerato che nel caso in esame non era minimamente contestata la provenienza dell’atto di appello dall’ufficio competente. I giudici di legittimità sottolineano, a tal fine, che le questioni relative agli effettivi poteri dell’autore di una firma illeggibile in rappresentanza dell’ente potrebbero ipoteticamente porsi in chiave di non appartenenza del firmatario all’ufficio appellante o, addirittura, che la questione potrebbe leggersi in tema di usurpazione di tali poteri. In mancanza di rilevazioni in tal senso, tuttavia, si deve presumere che l’atto provenga dall’ufficio e ne esprima la volontà (cfr Cassazione, sentenza 2768/2006).
Interpretazione, questa, che risulta tra l’altro conforme al principio di effettività della tutela giurisdizionale (o di economia processuale), che impone di ridurre al massimo le ipotesi di inammissibilità della tutela giurisdizionale dei diritti (cfr Cassazione, sezioni unite, sentenze 3116 e 3118 del 2005). Principio, inoltre, più volte valorizzato dalla Corte costituzionale (cfr sentenza 189/2000), per un’interpretazione, se necessario adeguatrice, del sistema processuale nel senso di restringere ai casi necessari le ipotesi di inammissibilità dei rimedi giurisdizionali.
Riguardo alla soluzione adottata, c’è da registrare che, con diverse pronunce di indirizzo univoco, la Cassazione – in base al rilievo che la normativa in materia di contenzioso tributario (articolo 10, Dlgs 546/1992) indica, in via generale, le parti del processo dinanzi alle Commissioni tributarie, contrapponendo al contribuente, l’ufficio del ministero delle Finanze che ha emanato l’atto impugnato (cfr circolare 98/1996) – ha reiteratamente affermato che il potere di contestare le decisioni delle Commissioni tributarie va riconosciuto in capo, non al "titolare" dell’ufficio, ma all’ufficio medesimo. Nel giudizio tributario quindi, la sottoscrizione dell’atto di appello, pur non competendo a un qualsiasi funzionario sprovvisto di specifica delega da parte del titolare dell’ufficio, deve ritenersi validamente apposta quando provenga, come nella specie, dal funzionario preposto al reparto competente, al quale la delega è stata conferita in via generale nelle ipotesi di suo legittimo impedimento (cfr Cassazione, sentenze 13908/2008, 10844/2005, 6463/2002).
Ciò senza contare che è da escludere l’invalidità della sigla non leggibile apposta in calce a un documen
to che rechi l’indicazione della qualifica del funzionario competente a emanarlo. Tale modalità, consentendo in ogni caso l’identificazione del soggetto indicato come autore dell’atto, e quindi l’individuazione della provenienza dall’organo cui è attribuita la competenza, va considerata "equipollente" alla firma per esteso (cfr Cassazione, sentenza 9600/2007, e, in tema di atti amministrativi informatici, sentenza 15448/2003).
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