Con sentenza 15236 del 12 settembre, la Corte di cassazione ha stabilito che i prelievi dal conto bancario della società da parte dei soci possono essere contestati dal fisco come ricavi in nero. Pertanto, è legittimo l’accertamento anche in presenza di una contabilità assolutamente regolare.
Il fatto
La vicenda riguarda una società cui l’ente impositore aveva notificato un avviso di accertamento ai fini Irpef e Ilor, scaturito da accertamenti bancari dai quali era risultato che i soci avevano prelevato dal conto societario somme poi utilizzate per pagare il mutuo di casa. Gli stessi non erano, infatti, titolari di altri redditi.
Il gravame della Srl era stato respinto dalla Commissione tributaria provinciale e confermato dalla regionale.
Nel conseguente ricorso per cassazione la società contesta la procedura induttiva adottata dall’ufficio, sostenendo che, ai sensi degli articoli 39, comma 2, del Dpr 600/1973, e 54, comma 2, del Dpr 633/1972, è sempre onere probatorio dell’Amministrazione finanziaria, e non del contribuente, dimostrare che movimenti sul conto corrente bancario di società di capitali o personale di soci ovvero operazioni effettuate da soci sono riferibili a operazioni societarie.
Sostiene, inoltre, che le presunzioni idonee a superare una contabilità formalmente corretta occorre si fondino su fatti noti e non semplicemente presunti, come sarebbero, nella specie, alcune contestazioni contenute nell’atto impositivo (registrazione di crediti verso i soci, ingiustificati prelievi sui conti correnti della società da parte dei soci, incongruenze dei depositi in conto corrente basati prevalentemente su assegni, sostenimento da parte dei soci di un rilevante mutuo ipotecario).
La decisione
La Corte suprema ha respinto il ricorso della società per questioni procedimentali, in quanto i motivi di impugnazione o sono risultati inammissibili o non sono stati idoneamente sviluppati secondo rito oppure sono privi di autosufficienza, atteso che la ricorrente non indica con specificità i fatti controversi decisivi che sarebbero oggetto dei vizi motivazionali denunciati, introducendo in giudizio richieste di diretta valutazione del merito in luogo della valutazione del percorso logico motivazionale.
Si viene così a convalidare l’assunto che i prelievi ingiustificati dei soci dal conto dell’azienda sono imponibili come ricavi in nero e che è irrilevante al riguardo la circostanza che la contabilità sia regolare, non ostando tale modalità all’attività di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria anche nell’ipotesi di operazioni inesistenti (Cassazione, sentenza 2847/2008). Sicché, il fatto che la contabilità dell’impresa era risultata regolare è una circostanza insufficiente a sconfessare l’accertamento reso definitivo dalla Suprema corte.
Assume, quindi, valore decisivo dal punto di vista logico-giuridico la presunzione (ex articolo 2729, codice civile) per cui i crediti della società verso i soci per prelievi eseguiti da questi sono indice di maggiore reddito della società non contabilizzato e parimenti congruente l’ulteriore presunzione per cui il fatto che i soci abbiano pagato le rate di un mutuo a essi intestato è indice di maggiore reddito della società non contabilizzato.
Occorre ricordare che, in tema di indagini finanziarie, la presunzione di riferibilità dei movimenti bancari a operazioni imponibili si correla a una valutazione del legislatore di rilevante probabilità che il contribuente si avvalga di tutti i conti di cui possa disporre per le rimesse e i prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività (Cassazione, pronunce 17243/2003 e 16837/2008). Compete al contribuente dimostrare l’irrilevanza tributaria delle somme movimentate e imputate a prestiti o disponibilità accordate da terzi (Cassazione 767/2011).
Infatti, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’articolo 32 del Dpr 600/1973, prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti sia i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi, e a fronte della quale il contribuente, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, essendo, tra l’altro, le presunzioni inserite a pieno titolo nel catalogo delle prove tipiche disponibili per il giudice, attesa la loro collocazione nel titolo secondo del libro sesto (tutela dei diritti) del codice di rito, dedicato alle “prove”. Anche se è evidente che le presunzioni in materia dovranno essere sottoposte a un’attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti evidenziati dal contribuente, dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (sempre che sia grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati (Cassazione, sentenza 25502/2011).
Il fatto
La vicenda riguarda una società cui l’ente impositore aveva notificato un avviso di accertamento ai fini Irpef e Ilor, scaturito da accertamenti bancari dai quali era risultato che i soci avevano prelevato dal conto societario somme poi utilizzate per pagare il mutuo di casa. Gli stessi non erano, infatti, titolari di altri redditi.
Il gravame della Srl era stato respinto dalla Commissione tributaria provinciale e confermato dalla regionale.
Nel conseguente ricorso per cassazione la società contesta la procedura induttiva adottata dall’ufficio, sostenendo che, ai sensi degli articoli 39, comma 2, del Dpr 600/1973, e 54, comma 2, del Dpr 633/1972, è sempre onere probatorio dell’Amministrazione finanziaria, e non del contribuente, dimostrare che movimenti sul conto corrente bancario di società di capitali o personale di soci ovvero operazioni effettuate da soci sono riferibili a operazioni societarie.
Sostiene, inoltre, che le presunzioni idonee a superare una contabilità formalmente corretta occorre si fondino su fatti noti e non semplicemente presunti, come sarebbero, nella specie, alcune contestazioni contenute nell’atto impositivo (registrazione di crediti verso i soci, ingiustificati prelievi sui conti correnti della società da parte dei soci, incongruenze dei depositi in conto corrente basati prevalentemente su assegni, sostenimento da parte dei soci di un rilevante mutuo ipotecario).
La decisione
La Corte suprema ha respinto il ricorso della società per questioni procedimentali, in quanto i motivi di impugnazione o sono risultati inammissibili o non sono stati idoneamente sviluppati secondo rito oppure sono privi di autosufficienza, atteso che la ricorrente non indica con specificità i fatti controversi decisivi che sarebbero oggetto dei vizi motivazionali denunciati, introducendo in giudizio richieste di diretta valutazione del merito in luogo della valutazione del percorso logico motivazionale.
Si viene così a convalidare l’assunto che i prelievi ingiustificati dei soci dal conto dell’azienda sono imponibili come ricavi in nero e che è irrilevante al riguardo la circostanza che la contabilità sia regolare, non ostando tale modalità all’attività di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria anche nell’ipotesi di operazioni inesistenti (Cassazione, sentenza 2847/2008). Sicché, il fatto che la contabilità dell’impresa era risultata regolare è una circostanza insufficiente a sconfessare l’accertamento reso definitivo dalla Suprema corte.
Assume, quindi, valore decisivo dal punto di vista logico-giuridico la presunzione (ex articolo 2729, codice civile) per cui i crediti della società verso i soci per prelievi eseguiti da questi sono indice di maggiore reddito della società non contabilizzato e parimenti congruente l’ulteriore presunzione per cui il fatto che i soci abbiano pagato le rate di un mutuo a essi intestato è indice di maggiore reddito della società non contabilizzato.
Occorre ricordare che, in tema di indagini finanziarie, la presunzione di riferibilità dei movimenti bancari a operazioni imponibili si correla a una valutazione del legislatore di rilevante probabilità che il contribuente si avvalga di tutti i conti di cui possa disporre per le rimesse e i prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività (Cassazione, pronunce 17243/2003 e 16837/2008). Compete al contribuente dimostrare l’irrilevanza tributaria delle somme movimentate e imputate a prestiti o disponibilità accordate da terzi (Cassazione 767/2011).
Infatti, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’articolo 32 del Dpr 600/1973, prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti sia i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi, e a fronte della quale il contribuente, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, essendo, tra l’altro, le presunzioni inserite a pieno titolo nel catalogo delle prove tipiche disponibili per il giudice, attesa la loro collocazione nel titolo secondo del libro sesto (tutela dei diritti) del codice di rito, dedicato alle “prove”. Anche se è evidente che le presunzioni in materia dovranno essere sottoposte a un’attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti evidenziati dal contribuente, dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (sempre che sia grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati (Cassazione, sentenza 25502/2011).
Fonte: Salvatore Servidio da nuovofiscooggi.it