I finanziamenti dei soci alla società sono uno strumento ampiamente utilizzato per fare affluire nella società nuove risorse finanziarie senza ricorrere a un formale aumento del capitale sociale. Come abbiamo visto, accade frequentemente che la s.r.l. sia costituita con il capitale minimo di 10.000 euro, e i soci forniscano successivamente alla società i maggiori mezzi necessari per l’esercizio dell’attività a titolo di finanziamento. Il legislatore ha però ritenuto che nelle piccole e medie imprese i soci facciano troppo spesso ricorso al finanziamento soci anziché apportare capitale di rischio. Conformemente a quanto previsto nella maggior parte degli Stati europei, le nuove norme introdotte con la riforma del 2004 stabiliscono dunque che il rimborso dei finanziamenti eseguiti, in qualsiasi forma, dai soci può avvenire solo quando sono stati pagati gli altri creditori, e in caso di fallimento l’eventuale rimborso avvenuto nell’anno precedente deve essere restituito. Queste regole valgono solo per i finanziamenti concessi dai soci in un momento in cui l’indebitamento della società risulta eccessivo rispetto al patrimonio netto, anche in considerazione del tipo di attività esercitato, o comunque quando la situazione finanziaria della società richiederebbe un conferimento a titolo di capitale. Si tratta però di criteri piuttosto vaghi, e la situazione delle piccole e medie imprese italiane, spesso sottocapitalizzate e dipendenti dal credito bancario, rende probabile un’applicazione pressoché generalizzata delle nuove regole.
Con queste norme il legislatore vuole evitare che i soci si sottraggano al rischio d’impresa apportando alla società un finanziamento quando sarebbe necessario conferire un maggiore capitale sociale. Le nuove regole sono state dettate specificamente per le s.r.l., ma alcuni ritengono che possano essere applicate, in via interpretativa, anche alle società costituite nella forma di s.p.a., almeno quando sono rappresentative di una realtà imprenditoriale simile a quella tipica della s.r.l., cioè un’impresa di dimensione media o piccola con una base sociale ristretta.
Le modalità con cui possono avvenire i finanziamenti da parte dei soci sono essenzialmente due. Il finanziamento in conto capitale è un versamento eseguito dai soci e acquisito definitivamente dalla società, che non è tenuta a pagare alcun interesse. Il socio che ha eseguito il finanziamento in conto capitale non ha il diritto di chiederne la restituzione. Naturalmente, pur mancando un obbligo in tal senso, è possibile che la società deliberi la restituzione ai soci delle somme versate, sotto forma di distribuzione delle riserve disponibili risultanti dal bilancio. La restituzione, però, deve avvenire necessariamente in proporzione alle quote di capitale sottoscritto, anche se i finanziamenti sono stati eseguiti in modo difforme. La società può impiegare le somma ricevute dai soci per eseguire investimenti, per coprire delle perdite, o anche imputarle alla successiva sottoscrizione di un vero e proprio aumento del capitale sociale. Quando il versamento dei soci è preordinato proprio a questa operazione, si parla più propriamente di versamento in conto futuro aumento di capitale, a cui peraltro la giurisprudenza applica la stessa disciplina.
Il socio, naturalmente, può anche concedere alla società un vero e proprio prestito, comportandosi come qualsiasi terzo. In questo caso non si tratta più di capitale di rischio, ma di un vero e proprio credito del socio verso la società, che dovrà essere restituito alla scadenza prevista, e che può anche essere produttivo di interessi, come un vero e proprio mutuo. La legge pone però delle limitazioni ben precise, per evitare che si verifichi, da parte della società, una raccolta del risparmio non autorizzata. Il socio che fa il prestito alla società deve essere titolare di almeno il 2% del capitale sociale, e essere socio da almeno tre mesi. Inoltre l’atto costitutivo deve prevedere espressamente la possibilità di ricevere finanziamenti dai soci.
Nella pratica appare spesso difficile stabilire se il socio abbia voluto eseguire un versamento in conto capitale o concedere un prestito alla società, a causa dell’utilizzo di terminologie imprecise. In tal caso la giurisprudenza tiene conto del concreto atteggiarsi del rapporto e delle finalità che è diretto a soddisfare. La previsione di interessi rivela senza dubbio che si tratta di un mutuo, mentre la proporzionalità tra le quote sociali e le somme versate fa propendere per il versamento in conto capitale.
La distinzione tra le due ipotesi è importante anche per quanto riguarda l’imposta di registro. Il finanziamento in conto capitale non è soggetto ad alcuna imposta. Si paga l’imposta di registro fissa (168 euro) solo se successivamente si delibera il passaggio a capitale del finanziamento, oppure la restituzione ai soci delle somme versate, sotto forma di distribuzione delle riserve disponibili risultanti dal bilancio. Il prestito concesso alla società dal socio è invece soggetto all’imposta di registro con l’aliquota del 3% (art. 9 parte I Tariffa d.P.R. 131/1986). L’esenzione, infatti, si applica soltanto ai finanziamenti in conto capitale, ovvero senza obbligo di restituzione, perché solo quelli risultano equiparati, ai fini fiscali, al conferimento nella società di capitale di rischio. Per evitare la tassazione immediata si può però concordare il prestito mediante scambio di lettere raccomandate tra il socio e la società, da registrare solo in caso d’uso.
Per quanto riguarda le imposte sul reddito, per evitare che i finanziamenti dei soci, di qualsiasi tipo, siano considerati produttivi di interessi (sui quali i soci dovrebbero pagare le tasse) occorre inserire nel bilancio la causale "Debiti verso soci per finanziamenti infruttiferi".
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