Il tesserino verde lascia il posto alla tessera sanitaria

Nome, cognome e codice fiscale. Dati che oggi ci vengono richiesti di routine da amministrazioni, enti o dal medico per la ricevuta. Nulla di strano, si tratta delle informazioni essenziali per l’identikit completo di ogni cittadino: ma non è stato sempre così. Risale soltanto al 1973, infatti, l’abbinamento alla sequenza composta da 16 caratteri, nove lettere e sette numeri, il codice fiscale.
 
L’introduzione del tesserino plastificato verde, da tenere sempre in tasca insieme alla carta d’identità, è stato solo una delle importanti novità introdotte da una riforma tributaria ben più ampia e complessa, che ha caratterizzato i primi anni Settanta e ha rivoluzionato il fisco italiano portando il numero dei contribuenti da 4 milioni a 25 milioni e istituendo un apparato informativo capace di elaborare la grande quantità di dati fiscali trasmessi, allora senza strumenti informatici, dagli uffici delle imposte. Un altro elemento chiave del nuovo sistema tributario è stato l’adozione dell’autoliquidazione grazie alla quale il momento del versamento tributario si sganciava dall’accertamento.
In precedenza, le due fasi erano strettamente collegate perché la determinazione dell’imposta avveniva soltanto dopo il controllo effettuato dall’Amministrazione finanziaria sul reddito dichiarato dal cittadino. Semplificando, il punto di partenza erano i dati reddituali denunciati dal contribuente, che gli uffici potevano confermare, inviando all’“esattore” il ruolo per la riscossione, oppure rettificare chiamando l’intestatario della dichiarazione per chiarimenti o procedendo a ulteriori verifiche.
 
Con gli anni ’70, quindi, il fisco italiano inizia un percorso completamente rinnovato. Prendono il via, grazie all’installazione negli uffici dei moderni strumenti tecnologici, controlli automatizzati a tappeto che, contemporaneamente, lasciano anche spazio ad accertamenti più mirati e approfonditi.
L’efficacia e la funzionalità di tale sistema non poteva però prescindere da un’anagrafe creata ad hoc e da un nuovo tipo di identificazione: l’Anagrafe tributaria, appunto, e il codice fiscale, entrambi nati con il Dpr 605/1973. Nella prima, ancora oggi, confluiscono tutte le notizie rilevanti ai fini fiscali relative a persone fisiche, società ed enti, identificati attraverso l’espressione alfanumerica del secondo.
 
Il fine era quello di dar vita a una banca dati, che consentisse di accertare la reale capacità contributiva di ogni “cf”, di rilevare incongruenze tra dichiarato e tenore di vita sostenuto e individuare operazioni “fiscalmente” sospette.
Per questo, nel Dpr 605/1973, venivano indicati nel dettaglio tutti i nuovi adempimenti connessi al tesserino verde. Il decreto elencava gli atti e i documenti sui cui diventava obbligatorio inserire la sigla alfanumerica, precisava per quali operazioni era necessario richiederlo e in che modo, specificava come uffici, ordini professionali e organismi di altro genere, dovevano provvedere a comunicare le informazioni in loro possesso utili all’archivio dell’Anagrafe tributaria.
 
Il codice fiscale entrò a pieno titolo nella lista dei documenti indispensabili dal 1976, anno in cui, per la prima volta veniva richiesto nella dichiarazione dei redditi.
 
Ma che significato hanno quelle lettere e quei numeri attribuiti dall’Anagrafe tributaria a ogni cittadino italiano (ma non solo) fin dalla nascita?
I criteri vennero stabiliti con il decreto ministeriale 857 del 23 dicembre 1976 e sono facilmente desumibili; gran parte della sequenza alfanumerica, infatti, prende le mosse dai dati anagrafici dell’intestatario.
Si parte proprio da nome e cognome, tre lettere per il primo e tre per il secondo. A seguire i dati relativi alla nascita: l’anno (due cifre), il mese (una lettera), il giorno (invariato per gli uomini, aumentato di 40 unità per le donne) e una serie di quattro caratteri (una lettera e tre numeri) per identificare il luogo di nascita. Fin qui tutto semplice, più complessa l’attribuzione della lettera che conclude il codice. Si tratta di un algoritmo, basato sulla sequenza che precede.
Il procedimento, in via generale, è questo, ma esistono le eccezioni, i casi di “omocodia” ad esempio, ed è per questo che l’Amministrazione raccomanda di rivolgersi sempre agli uffici finanziari per il rilascio del codice fiscale e di non affidarsi ai software disponibili sulla Rete.
 
Oggi, il tesserino verde plastificato con banda magnetica, una volta preceduto dal provvisorio in formato cartaceo, è già quasi un ricordo. Al suo posto la tessera sanitaria, che oltre a rappresentare un codice fiscale a tutti gli effetti, consente di monitorare la spesa sanitaria delle Regioni.
 
Grazie al codice fiscale, all’Anagrafe tributaria, all’adozione di tecnologie sempre più avanzate e all’interconnessione di rete tra strutture periferiche e centrali, l’attività dell’Amministrazione finanziaria, nel nostro Paese, è cambiata profondamente sia sul piano dei controlli e del recupero dell’evasione fiscale, sia sul piano dei servizi offerti al cittadino. Sono diventati talmente tanti, infatti, i dati “incrociati” dal fisco che il ritratto tracciato dagli uffici finanziari per ogni contribuente si conferma sempre più attendibile.
Allo stesso tempo, però, la possibilità di entrare in contatto direttamente con l’Agenzia delle Entrate e, entro determinati limiti, con il suo sistema informativo, consente oggi di effettuare adempimenti e ricevere servizi con un semplice click.
 
Quanta strada dall’unità d’Italia, da quando, cioè la tassazione del reddito era basata quasi esclusivamente sull’imposta fondiaria e, in pratica, non vigeva nessun obbligo documentale per il nuovo cittadino del Regno, né esisteva un reale sistema di controllo per verificare l’attendibilità del reddito dichiarato, quando era dichiarato!
La prima svolta veramente decisiva fu opera del ministro Vanoni, nel secondo dopoguerra, con la riforma tributaria del 1951. Vanoni tentò di portare cambiamenti anche di carattere culturale in materia di fisco. Sua intenzione era far passare il concetto che pagare le tasse non era un adempimento di carattere “privato”, ma “pubblico”, perché significava contribuire alle spese dello Stato secondo le proprie possibilità. Con la “legge di perequazione” personalizzò, quindi, le imposte dirette in base alle situazioni individuali e familiari, ridusse le aliquote, abbassò la soglia dei redditi esenti e, soprattutto, volle un censimento generale dei contribuenti, si trattò di un rilevamento straordinario per combattere l’evasione e verificare la reale situazione economica di ogni cittadino.
Tra le modifiche fondamentali introdotte da Vanoni, tre riguardarono la dichiarazione dei redditi che diventò obbligatoria, annuale e unica, per tutti i tipi di redditi e corrispettivi percepiti dal titolare e dai membri della sua famiglia. Una dichiarazione ricca di elementi, ormai, con specificate le fonti di reddito, le spese detraibili e molti altri dati utili all’accertamento analitico.
Il “moderno” sistema tributario aveva bisogno però anche di strutture adeguate, di attrezzature idonee e di personale preparato, di una riorganizzazione generale insomma.
Il primo passo fu la fornitura di macchine per scrivere e di calcolo.
 
Fonte: Anna Maria Badiali da nuovofiscooggi.it
 
 

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