Con la sentenza n. 82 del 30 aprile, la Commissione tributaria provinciale di Ravenna è pervenuta alla conclusione di considerare soggetti a imposizione fiscale i proventi derivanti dallo svolgimento abituale della attività di prostituzione, e li ha, inoltre, inquadrati nella categoria dei redditi di lavoro autonomo.
I fatti oggetto della causa sono ben riassunti dai giudici tributari romagnoli, i quali evidenziano che, nel caso in esame, una signora “proponeva ricorso avverso un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Faenza, notificato il 13.12.2008, con il quale si recuperava a tassazione, con accertamento sintetico, imposte afferenti all’annualità 2002, per Irpef ed addizionali, per aver la contribuente sostenuto ingenti spese per incrementi patrimoniali nell’anno 2005 senza che la medesima avesse ‘capacità reddituale’ dichiarata nel corso del tempo“.
In particolare, la ricorrente sosteneva che gli importi percepiti per lo svolgimento della propria attività di meretricio non potevano essere assoggettati a imposizione fiscale in quanto gli stessi dovevano considerarsi “una forma di risarcimento danni sui generis a causa della lesione della integrità della dignità di chi subisce l’affronto della vendita di sé“.
Successivamente si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate con proprie controdeduzioni, nelle quali rivendicava la legittimità del proprio operato e insisteva per l’assoggettabilità a tassazione dei proventi derivanti dall’attività di prostituzione, per l’evidente e palese esclusione della natura risarcitoria degli stessi proventi.
I fatti oggetto della causa sono ben riassunti dai giudici tributari romagnoli, i quali evidenziano che, nel caso in esame, una signora “proponeva ricorso avverso un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Faenza, notificato il 13.12.2008, con il quale si recuperava a tassazione, con accertamento sintetico, imposte afferenti all’annualità 2002, per Irpef ed addizionali, per aver la contribuente sostenuto ingenti spese per incrementi patrimoniali nell’anno 2005 senza che la medesima avesse ‘capacità reddituale’ dichiarata nel corso del tempo“.
In particolare, la ricorrente sosteneva che gli importi percepiti per lo svolgimento della propria attività di meretricio non potevano essere assoggettati a imposizione fiscale in quanto gli stessi dovevano considerarsi “una forma di risarcimento danni sui generis a causa della lesione della integrità della dignità di chi subisce l’affronto della vendita di sé“.
Successivamente si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate con proprie controdeduzioni, nelle quali rivendicava la legittimità del proprio operato e insisteva per l’assoggettabilità a tassazione dei proventi derivanti dall’attività di prostituzione, per l’evidente e palese esclusione della natura risarcitoria degli stessi proventi.