Natura ed effetti delle circolari. Potrebbe così intitolarsi la sentenza n. 237, depositata il 9 gennaio 2009, con cui la Cassazione, riprendendo il noto precedente rappresentato dalla pronuncia n. 23031 del 9 ottobre 2007, è tornata nuovamente sul tema della valenza dei documenti di prassi dell’Amministrazione finanziaria, illustrando, quasi didatticamente, una serie di principi generali relativi al ruolo delle circolari rispetto alla gerarchia delle fonti e alla portata che esse possono assumere tanto nei confronti della stessa Amministrazione emanante, globalmente considerata, quanto nei confronti dei contribuenti solo "impropriamente" destinatari delle medesime.
Nulla quaestio sulla correttezza dei principi espressi dalla Suprema corte nella sentenza in esame e di seguito illustrati, anche se, giova evidenziarlo fin da subito, rispetto alla ricostruzione delle circolari quali atti interni all’Amministrazione, qualche dubbio residua rispetto alla "eccezionale" portata estrinseca che lo Statuto dei diritti del contribuente assegna alle circolari medesime e che, almeno a prima lettura, non sembra conciliarsi perfettamente con i principi contenuti nella pronuncia; salvo, come si evidenzierà nelle conclusioni, individuare dietro tale eccezionale valenza esterna un principio essenziale dell’ordinamento.
Le circolari: ruolo e fondamento
La prima affermazione desumibile dalla sentenza 237/2009 è quella secondo cui le circolari non sono atti normativi (né tanto meno sono a essi assimilabili) e, pertanto, sono prive del potere di innovare l’ordinamento giuridico.
L’affermazione è pienamente in linea con l’incontestabile insegnamento della dottrina rispetto alla gerarchia delle fonti, laddove, specie nelle opere più tradizionali degli amministrativisti, si legge che col termine "circolare" più che designare un particolare tipo di atto, dalle funzioni o dal contenuto tipizzato, si individua una modalità di comunicazione di qualcosa; il termine designa, per l’appunto, il percorso di un certo atto che si diffonde "circolarmente" all’interno di una certa struttura.
Certo è che, a mano a mano che la disciplina di singoli e specifici atti si è rivolta a individuarne anche le modalità di esternazione e le forme di alcuni atti sono diventate "tipiche", come nel caso dei regolamenti, la portata del termine "circolare" si è andata sempre più restringendo, fino al punto di identificarsi con quelli che oggi comunemente così chiamiamo, ossia gli atti emanati dall’Amministrazione, rivolti agli uffici, il cui contenuto può essere estremamente diversificato.
Le circolari, come noto, possono contenere semplici comunicazioni, ovvero precise direttive o istruzioni in ordine alle modalità di comportamento che i destinatari devono adottare o, ancora (ed è questo l’oggetto di riflessioni nella sentenza in commento), l’interpretazione che l’organo emanante dà di un certa norma di legge.
Resta inteso che l’interpretazione contenuta in una circolare altro non è se non il presupposto per individuare le concrete regole di comportamento cui i destinatari, interni all’Amministrazione, devono attenersi; si tratta cioè di un’attività strumentale all’obiettivo di indirizzare, in modo univoco, i comportamenti degli uffici su tutto il territorio nazionale.
Tale conclusione appare scontata, sia se si analizza la distribuzione, a livello costituzionale, dei diversi poteri dello Stato sia, ancora di più, se ci si domanda quale sia il potere posto a fondamento della emanazione della circolare.
La dottrina più tradizionale, condivisibilmente, ritiene che alla base del potere di emanare circolari sia individuabile il cosiddetto potere gerarchico o di indirizzo che alcuni organi possono esercitare nei confronti di altre strutture (normalmente interne e comunque sott’ordinate); tale potere, pertanto, potrà esplicare i suoi effetti solo nei confronti dei soggetti, ovvero degli uffici, che a tale potere soggiacciono.
Le circolari: i soggetti destinatari, gli effetti sul piano interno dell’Amministrazione e gli effetti sui contribuenti
Individuato il fondamento del potere e, di conseguenza, l’ambito di soggetti che possono considerarsi "in senso proprio" destinatari del contenuto, comunicativo, precettivo o precettivo-interpretativo della circolare, si tratta di verificare quali sono gli effetti che si producono nei casi in cui la circolare stessa venga disattesa.
Pur producendo di norma effetti vincolanti sul piano interno (ove il vincolo discende proprio dal rapporto gerarchico tra organo emanante e destinatari), le circolari possono essere legittimamente disattese quando in "evidente" contrasto con le norme di legge, come si desume applicando estensivamente la regola di cui all’articolo 17 della legge 3/1957, dettata dallo "Statuto degli impiegati civili dello Stato" di plurimo rilievo, anche penale.
Al di fuori di questa ipotesi, che richiede l’evidenza del contrasto e che deve essere provata dalla parte che avrebbe dovuto attenersi alle istruzioni impartite dall’organo sovraordinato, la mancata osservanza delle circolari produce effetto ma solo sul piano interno e mai, come si vedrà anche a breve (almeno per quel che concerne materie caratterizzate dall’esercizio di poteri vincolati), sulla legittimità dell’atto adottato.
Pertanto, l’inosservanza della circolare darà luogo a conseguenze sotto il profilo disciplinare (con applicazione delle relative sanzioni) e assumerà un ruolo essenziale ai fini dell’eventuale giudizio instaurato contro il funzionario, nel corso del quale la circostanza che l’impiegato abbia applicato ovvero disatteso le istruzioni contenute nella circolare dovrà essere vagliata dal giudice ai fini di determinare la colpa del soggetto agente, quale elemento soggettivo imprescindibile della responsabilità.
Se queste sono le regole generali, si può osservare che nella sentenza in esame la Cassazione ha riaffermato i medesimi principi seppur attraverso espressioni più vaghe, non sempre correttamente interpretate e, pertanto, in alcune occasioni, strumentalizzate.
Nella pronuncia si legge espressamente che "le circolari non vincolano gli uffici gerarchicamente subordinati…ai quali è data facoltà di disattendere il contenuto delle direttive senza che tale comportamento possa essere invocato quale causa di nullità o vizio dell’atto impositivo per difformità rispetto alla circolare esplicativa".
La portata di quest’ultima affermazione della Corte è duplice, perché è riferibile tanto agli effetti sul piano interno, quanto ai suoi riflessi sull’atto. Solo una lettura integrale dell’intero passaggio argomentativo evidenziato consente di tracciare un quadro più chiaro e corretto, se non col rischio di concludere, come pure qualcuno ha proposto, nel senso del carattere non vincolante delle circolari anche sul piano interno.
Ciò che i giudici intendevano affermare è che nell’eventualità in cui l’ufficio disattenda il contenuto della circolare, il contribuente non può per ciò solo far valere l’illegittimità dell’atto impugnato; quest’ultima, infatti, può derivare solo dal contrasto del contenuto dell’atto con le norme di legge. L’atto sarà, cioè, illegittimo solo se, a prescindere dalla sua conformità o meno a una circolare interpretativa, esso sia contrario alla legge, in quanto unico e solo parametro di valutazione della legittimità di un atto.
Tale conclusione appare ovvia alla luce di quanto detto a proposito del potere posto a fondamento dell’emanazione della c
ircolare e del suo carattere "non innovativo" dell’ordinamento giuridico.
Per comprendere ancora meglio il principio affermato dalla Cassazione, un ulteriore argomento utile può essere desunto dal raffronto tra il ruolo che la circolare assume nell’ambito del giudizio tributario e quello che eventualmente può rivestire nel corso del giudizio amministrativo; la differenza consentirà di spiegare meglio la portata del principio come formulato dal giudice di legittimità.
Il sistema della giustizia amministrativa conosce un vizio denominato, per l’appunto, "violazione di circolare", riconducibile alla più ampia categoria dell’eccesso di potere, del quale costituisce, secondo elaborazioni della giurisprudenza amministrativa oramai consolidate, figura tipica.
Nei giudizi davanti al Tar, in altre parole, il privato può impugnare l’atto difforme dalla circolare impartita dall’Amministrazione, senza altro addurre se non l’irragionevolezza della decisione adottata, desunta, per l’appunto, dal contrasto (di norma non motivato o non ragionevolmente giustificato) tra il singolo provvedimento e una circolare.
Analoga possibilità non può essere riconosciuta nel nostro sistema; l’eccesso di potere (comprese, ovviamente, le sue figure sintomatiche) è, infatti, il vizio tipico degli atti discrezionali, proprio perchè funzionale al sindacato sul corretto bilanciamento degli interessi in gioco contenuto nel provvedimento impugnato, ben poco adattabile al carattere generalmente vincolato degli atti dell’Amministrazione finanziaria.
Riflessi sulla tutela giurisdizionale
Sulla scia di tali principi, è possibile trarre alcune considerazioni generali in tema di tutela giurisdizionale del privato/contribuente a fronte dell’emanazione della circolare.
Anche in alcune pronunce precedenti che costituiscono un importante chiave di lettura della sentenza in commento, la Cassazione ha correttamente escluso tanto l’impugnazione diretta della circolare dinanzi al giudice amministrativo, quanto la possibilità per il giudice ordinario di una disapplicazione della stessa nel corso delle controversie rimesse alla sua cognizione.
Le affermazioni contenute nella sentenza sono condivisibili; esse, in sostanza, consolidano l’orientamento della prevalente giurisprudenza sul punto, respingendo per l’ennesima volta quella posizione isolata del giudice amministrativo che in passato aveva ammesso l’impugnazione immediata delle circolari.
Questi principi possono essere pacificamente estesi anche all’eventuale impugnativa della circolare dinanzi alle Commissioni tributarie.
Tuttavia, sul punto è necessaria una precisazione di più ampio respiro, partendo dall’affermazione, contenuta nella sentenza 237/2009, secondo cui l’impugnazione della circolare dinanzi al giudice amministrativo sarebbe preclusa a causa del difetto di giurisdizione del giudice adito. Tale affermazione, come si vedrà a breve, è corretta in sé, ma non inquadra correttamente il problema della tutela giurisdizionale del privato dinanzi alla circolare.
Il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a fronte dell’impugnazione di una circolare dell’Amministrazione finanziaria, infatti, è eccepibile dal giudice in quanto con l’ampliamento e la generalizzazione della giurisdizione delle Commissioni tributarie, queste ultime sono diventate, in linea generale, il giudice per "materia".
La Corte costituzionale, con la sentenza 130/2008, ha corretto in senso restrittivo la giurisdizione del giudice tributario (con riferimento, in particolare, alle sanzioni per lavoro nero irrogate dagli uffici dell’agenzia delle Entrate), ma è intervenuta in questa direzione richiamando proprio il principio della giurisdizione per materia (quella, in particolare, "dei tributi"), ribadendo, anziché negando, il carattere tendenzialmente pieno ed esclusivo della giurisdizione tributaria, pur con i suoi ancora evidenti limiti.
Né in senso contrario appare decisivo il richiamo all’articolo 7, comma 4, dello Statuto dei diritti del contribuente, che non esclude la possibilità di ricorso agli organi della giustizia amministrativa per gli atti di natura tributaria; tale norma non nega la pienezza della giurisdizione tributaria, ma sembra fondare quella dei Tar rispetto ad atti per i quali il ricorso in Commissione tributaria è precluso dal carattere tendenzialmente (anche se non completamente) tassativo delle previsioni dell’articolo 19 del Dlgs 546/1992.
Ad escludere l’impugnabilità delle circolari, pertanto, non vale il richiamo al difetto di giurisdizione, in quanto, ove si trattasse solo di un simile problema, occorrerebbe prevedere un canale di accesso immediato per la tutela del privato dinanzi al giudice tributario, o in via interpretativa (attraverso una difficilissima assimilazione della circolare a uno degli atti dell’articolo 19) ovvero in via normativa.
Per negare la possibilità di impugnazione della circolare, appare più opportuno introdurre un altro concetto: la carenza di interesse a ricorrere. Leggendo le più recenti pronunce dei giudici amministrativi, si ritrova più che altro l’argomento secondo cui la circolare, di per sé sola, è inidonea a incidere su posizioni del privato, in quanto non ne determina una lesione immediata e diretta.
In questa prospettiva, non si tratta di individuare il giudice "competente" a conoscere delle controversie generate da una circolare, quanto di escludere la possibilità di una tutela immediata in quanto non v’è alcuna lesione concreta e diretta della platea dei contribuenti ai quali può, ma solo indirettamente, essere rivolto il chiarimento interpretativo.
Considerazioni conclusive sugli effetti delle circolari
I principi contenuti nella sentenza sono in linea con la ricostruzione tradizionale proposta dalla dottrina a proposito del ruolo delle circolari nell’ordinamento giuridico generale.
Sia sotto il profilo del potere posto a fondamento sia sotto il profilo degli effetti sul contribuente (e, di conseguenza, sul piano della tutela giurisdizionale), la circolare costituisce, anche ove a prevalente contenuto interpretativo, atto di indirizzo della condotta degli uffici cui è rivolta e mai atto vincolante per il privato, destinatario solo mediato e indiretto.
Ciò premesso, si tratta a questo punto di inquadrare in questo contesto il principio contenuto nell’articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente che, in maniera del tutto eccezionale rispetto a quanto finora prospettato, assegna alla circolare, come a qualunque atto dell’Amministrazione finanziaria diverso dall’interpello ex articolo 11 dello Statuto (in quanto atto a efficacia rafforzata), un effetto "esterno", quale atto che fonda l’affidamento del contribuente e costituisce causa di esclusione per l’applicazione di sanzioni e il recupero degli interessi.
In deroga, infatti, alla ricostruzione fatta a proposito della circolare quale atto che esaurisce la sua portata applicativa sul piano interno, laddove il contribuente si sia adeguato alle indicazioni contenute in un atto dell’Amministrazione, fatto salvo il recupero del tributo (il quale discende dalla doverosità del concorso al verificarsi dei presupposti previsti dalla legge), al contribuente non potranno essere irrogate sanzioni né richiesti interessi.
Il ben noto principio della tutela dell’affidamento, cui la stessa giurisprudenza di legittimità ha più volte riconosciuto il rango di principio generale dell’ordinamento, "prevale" quindi sul carattere meramente interno delle circolari e, senza mai tradursi in un motivo di ricorso che giustifichi da solo l’annullamento dell’atto e della pretesa in esso contenuta, pu
ò incidere sul diverso piano degli accessori del tributo.
Nuovo Fisco Oggi