Bisogna ricordarsi di trasferire ufficialmente la domiciliazione anagrafica nel Comune in cui si trova l’immobile, perché il richiamo alla presenza fisica quotidiana nel nuovo appartamento non può “azzerare” l’omissione e salvare i benefici. La mera dimenticanza non ha valore, afferma la Corte di cassazione, con l’ordinanza 6834 del 19 marzo.
Il fatto
A seguito decisione sfavorevole della Commissione tributaria provinciale relativa all’avviso di liquidazione dell’imposta di registro e ipocatastali, inerente l’acquisto di una casa di abitazione, emesso dall’ente impositore al fine di recupero di quelle maggiori per decadenza dai benefici fiscali, due coniugi proponevano appello, che veniva riconosciuto fondato dalla Commissione tributaria regionale.
In particolare, il giudice di secondo grado osservava che il mancato trasferimento della residenza anagrafica nel diverso comune in cui si trova l’immobile era dovuto a mera dimenticanza, ma la documentazione acquisita comprovava che comunque gli acquirenti vi abitavano di fatto da tempo debito, sicché tale dato era sufficiente per la spettanza del beneficio.
L’ente impositore ricorre per cassazione nei confronti della “scellerata” decisione del giudice del riesame, deducendo violazione della legge di registro e delle imposte ipotecarie e catastali, in quanto la Commissione dell’appello non considerava che il dato anagrafico è indispensabile per la fruizione del beneficio in argomento, non potendo avere alcun rilievo l’asserita negligenza, potendo giustificare l’omissione soltanto la forza maggiore, ovvero il lavoro prestato all’estero o nello stesso comune in cui l’unità immobiliare è ubicata.
La decisione
Con l’ordinanza n. 6834/2013, la Cassazione rigetta completamente l’ottica proposta dai due coniugi, ottica peraltro accolta a sorpresa dalla Commissione tributaria regionale, la quale, sconfessando l’esito del primo giudicato, aveva sostenuto che il mancato trasferimento della residenza anagrafica nel diverso comune in cui si trova l’immobile era stato determinato da “mera dimenticanza”, come testimoniato anche dal fatto che “in realtà gli acquirenti vi abitavano di fatto”.
Per il giudice di secondo grado, quindi, non memore della pluriennale uniformità interpretativa del diritto vivente, questo “dato” di fatto “era sufficiente per fruire dell’agevolazione” prevista per l’acquisto della prima casa.
Ma si tratta di una visione assolutamente erronea, ribatte la Suprema corte, nell’accogliere – de plano – il ricorso dell’Amministrazione finanziaria.
Ciò in quanto, per espressa previsione normativa (comma 1, lettera a), della nota II-bis) all’articolo 1, della Tariffa allegata al Dpr 131/1986, applicabile ratione temporis), la fruizione dell’agevolazione fiscale per l’acquisto della prima casa richiede che l’immobile sia ubicato nel comune ove l’acquirente ha la residenza e “nessuna rilevanza giuridica può essere riconosciuta alla realtà fattuale” – ossia, in questo caso, la residenza “di fatto” – se essa contrasti con il dato anagrafico risultante dagli atti dello stato civile (cfr per tutte, Cassazione 1173/2008), come vivere nell’acquisita prima casa ma risiedere altrove (cfr Cassazione 3384/2013). Tant’è che l’accesso alle agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa è indissolubilmente legato al presupposto della residenza anagrafica, la quale deve sussistere alla data dell’acquisto, ovvero entro il termine prescritto (diciotto mesi).
Aggiunge poi la Corte un’importante precisazione, spiegando che il dedotto dato fattuale avrebbe potuto avere rilevanza soltanto ove i contribuenti avessero dimostrato di essersi attivati tempestivamente e che l’eventuale ritardo fosse addebitabile esclusivamente all’ente locale (cfr Cassazione 4628/2008), ipotesi che però non ricorre nel caso in esame.
A maggior ragione non è possibile dare rilievo a una mera “dimenticanza” del trasferimento della residenza, atteso che sul tema, con un principio dettato in funzione antielusiva, la giurisprudenza di legittimità è fermamente attestata sulla circostanza che per avvalersi dell’agevolazione “prima casa” non è sufficiente la volontà, dichiarata dall’acquirente, di adibire l’immobile a propria abitazione, ma occorre che lo stesso venga effettivamente impiegato a uso abitativo (cfr Cassazione 1530/2012).
Né, a fortiori, è possibile una interpretazione “estensiva” della portata normativa di cui trattasi, in quanto la circostanza che il beneficio venga espressamente subordinato alla “condizione che l’immobile acquistato sia ubicato nel Comune ove l’acquirente ha la propria residenza” si rivela emblematica e, di per sé, non consente il ricorso a una interpretazione estensiva della norma, né ad applicazione in via analogica, attese la chiarezza e l’inequivocità del dato letterale nonché la specialità della norma, che, portando deroga all’ordinario regime di tassazione, non consente interpretazioni sottese all’ampliamento della prefigurata casistica (cfr Cassazione 10807/2012).
Conseguenzialmente all’accoglimento del ricorso dell’ente impositore, si è resa anche necessaria la definitiva conferma della legittimità dell’avviso di liquidazione, senza rinvio al giudice del merito.
Fonte: Agenzia delle Entrate