Ha evaso il fisco italiano la società egiziana che operava nel territorio dello Stato attraverso un altro soggetto, riconosciuto anche dai giudici tributari come sua stabile organizzazione. La ditta gestiva sì un residence sul mare d’Egitto, ma aveva una sede fissa d’affari (ufficio vendite, dipendenti) in Italia.
E’ stata la Commissione tributaria regionale della Lombardia a riconoscere la fondatezza delle indagini svolte dagli 007 dell’Agenzia delle Entrate e a respingere l’appello della società estera, che svolgeva interamente la sua attività di vendita di diritti di usufrutto sugli immobili del report attraverso la compagine italiana, compagine la cui attività era da ritenersi "funzionale ed essenziale" a quella del soggetto estero e non "ausiliaria e/o preparatoria" alla stessa.
In particolare, nella sentenza si legge che le due aziende "svolgono la propria attività come un "unicum" che risulta essere formalmente frazionato tra le diverse società al solo fine di fruire dei regimi fiscali più convenienti, sottraendo così la quasi totalità del reddito prodotto in Italia".
Meritata soddisfazione, dunque, da parte dell’ufficio delle Entrate di Milano 4, che ha visto così premiati l’impegno dimostrato e l’attività di indagine svolta. Incontestato l’impianto accusatorio degli ispettori del fisco, i quali hanno provato l’esistenza della stabile organizzazione del soggetto oltre confine a cui era stato presentato un conto – tra imposte sui redditi, Irap e sanzioni – per un totale di 100 milioni di euro.
Interrogatori, verifiche sul luogo, confronti, analisi del ciclo produttivo, hanno smontato, infatti, quanto sostenuto dalla controparte: l’attività dell’azienda iniziava e finiva, sotto il profilo del reddito imponibile, nel nostro Paese. Validi, di conseguenza, gli avvisi di accertamento, le sanzioni e gli altri atti contestati dalla ricorrente in giudizio.
La Ctr, oltre ad accertare la validità della tesi sostenuta dall’Amministrazione finanziaria e a respingere il ricorso presentato, ha anche inflitto una condanna esemplare alla società, decidendo di far pagare all’azienda 90mila euro per le spese processuali, da aggiungere ai 10mila euro già risarciti all’Agenzia in primo grado.
Fonte: Anna Maria Badiali da nuovofiscooggi.it