L’Islanda non si rialza e continua a scontare gli effetti negativi della crisi finanziaria. Reykjavik, la capitale, ne è l’emblema e dopo anni d’incassi record del fisco domestico, sospinti dal boom della finanza, ora è tempo di tracciare un bilancio, ma i conti non tornano. Le previsioni relative al Pil tracciano uno scivolone in area polare tanto che nel 2009 dovrebbe registrare un – 9 per cento facendo cosi dell’Islanda il Paese su cui lo tsunami finanziario globale ha inferto la perdita maggiore. "Niente di strano", ripete l’esperto navigatore dei mercati globali, fermando lo sguardo sui profili contabili delle due capitali indiscusse del business internazionale, Londra e New York. Un lungo elenco di numeri, con un solo comun denominatore, il rosso che contraddistingue da mesi i conti delle rispettive Amministrazioni cittadine alle prese con una crisi i cui calendari sono ancora in attesa d’essere definiti.
Big Apple & Londograd, quest’anno è di moda il rosso
Nel gettito delle entrate fiscali delle cittadelle della finanza globale, Londra e New York, quest’anno è il rosso che prevale. I numeri del fisco non lasciano spazio a dubbi contabili. I dati diffusi nei giorni passati, infatti, dalle rispettive Amministrazioni cittadine e nazionali convergono sul preoccupante scivolone delle entrate tributarie registrato nel 2008. Riguardo la City, per esempio, le risorse che l’erario britannico s’attende dal gettito dell’imposta sui profitti dovrebbero ridursi, rispetto alle stime formulate ad inizio anno, di ben 6 miliardi di sterline, 6,8 miliardi di euro. Il medesimo trend negativo si rileva per l’imposta sui redditi delle persone fisiche il cui gettito, relativo all’anno passato, potrebbe perdere lungo la strada circa 5 miliardi di sterline, ovvero 5,7 miliardi di euro. In totale quindi il fisco britannico dovrà presto fare i conti con oltre 12miliardi di euro di minori entrate che, principalmente a causa della crisi, non risponderanno all’appello delle imposte e delle tasse generalmente versate dai londinesi, persone fisiche e imprese. Lo stesso trend è atteso riguardo le finanze della "Grande Mela", già ribattezzata dagli analisti di Borsa la "Piccola Mela". In questo caso, a differenza dello scenario londinese, il fisco federale di Washington non ha ancora provveduto a disaggregare le eventuali perdite sul piano nazionale, al contrario del Dipartimento delle entrate dello Stato di New York che, a causa dei ripetuti crolli di Borsa registrati nei mesi passati, ha già riformulato le linee di bilancio, inserendovi perdite nell’ordine di miliardi di dollari.
New York, dal mito della Grande Mela al gelo contabile della Piccola Mela
Anche nel caso di New York quindi, come Londra, i numeri diffusi recentemente dalle Amministrazioni locali non lasciano dubbi. Il debito pubblico della città, infatti, già in rapida ascesa nel 2008, quando venne fissato dai responsabili dell’economia in 1,5miliardi di dollari, circa 1,1 miliardi di euro, quest’anno è dato ancora in crescita, tanto che nel prossimo biennio potrebbe arrestarsi intorno ai 14 miliardi di dollari, 10,8 miliardi di euro. Il contributo maggiore a questa pessima performance deriva direttamente dal crollo atteso del gettito delle imposte sui profitti e sui redditi delle persone fisiche che operano e lavorano a New York. E la ragione è da ricercare nei rovesci borsistici. Peraltro, la questione relativa alla dipendenza eccessiva dell’economia cittadina e dello Stato di New York dal settore della finanza e da Wall Street, è un tema discusso da anni e, fino ad oggi, mai risolto.
Se il Fisco dipende da Wall Street
Per indagare l’intensità di questo legame è sufficiente osservare i numeri. Innanzitutto, al settore finanziario e alle attività a esso connesse, è riconducibile il 14 per cento della ricchezza annuale prodotta dalla "Grande Mela". A questo provvedono circa 212mila lavoratori, i cui redditi dipendono dai trend di Borsa e dalla finanza. In pratica, dei circa 400 miliardi di dollari l’anno che costituiscono il monte salari e stipendi del totale degli occupati registrati nei confini metropolitani dell’oramai ex "Grande Mela", sono 80 i miliardi di dollari, cioè il 20 per cento del totale, la cui origine è attribuita direttamente agli oltre 200mila lavoratori occupati nel settore della finanza. Alla luce di questo rapporto, e date le proporzioni che legano Wall Street a New York, è quasi naturale, perfino fisiologico almeno sotto il profilo contabile, che gli scivoloni in Borsa incidano sia sul versante dei conti pubblici sia su quello delle entrate fiscali. In particolare, proprio su questo versante specifico, nei prossimi giorni alla conta finale dell’incasso totale dell’erario cittadino potrebbero non rispondere all’appello diversi miliardi di dollari che, secondo le prime stime disponibili, ammonterebbero a circa 10 miliardi. È il prezzo d’un crollo di Borsa, né improvviso né definitivo, semplicemente atteso e ancora lontano dall’essere misurato sia nella durata che nell’entità.
Nuovo Fisco Oggi