Non hanno efficacia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria gli atti posti in essere dal contribuente che costituiscono "abuso di diritto", ovvero che si traducono in operazioni compiute al solo fine di conseguire un risparmio d’imposta.
A tali conclusioni sono pervenuti i giudici di legittimità con la sentenza n. 27646 del 21 novembre 2008.
La vicenda
L’amministratore delegato di una Spa impugna un avviso di accertamento con cui l’agenzia delle Entrate ha riscontrato nei suoi confronti un maggior reddito, a titolo di fringe benefit.
La Commissione tributaria regionale rigetta l’appello dell’ufficio e, confermando quanto già deciso dai primi giudici, ritiene che le maggiori somme accertate non costituiscono "un compenso aggiuntivo" corrisposto all’amministratore, bensì spese per fini pubblicitari e promozionali nell’interesse della società che le ha sostenute, senza obbligo di rendiconto, così come risulta dal verbale di assemblea.
Peraltro, il reddito in questione era già stato tassato in capo alla società, la quale "aveva riportato in aumento nella propria dichiarazione dei redditi, per gli anni contestati, le spese non documentate dall’amministratore, corrispondendo il relativo tributo".
Avverso la decisione della Ctr l’Amministrazione finanziaria presenta ricorso per cassazione, deducendo difetto di motivazione della sentenza impugnata e lamentando, fra l’altro, che il ricorrente avrebbe dovuto dare prova documentale circa l’utilizzo delle somme corrispostegli e destinate, a suo dire, a fini pubblicitari e promozionali, trattandosi, peraltro, di cifre rilevanti.
In particolare, secondo l’ufficio, l’operazione era stata posta in essere per ottenere essenzialmente un vantaggio fiscale, considerato che si consentiva, da un lato, all’amministratore di non dichiarare la somma corrisposta quale "compenso aggiuntivo" e, dall’altro, si permetteva alla società di non applicare la ritenuta d’acconto sui predetti importi, destinati apparentemente per fini pubblicitari e promozionali.
Inoltre, l’Amministrazione finanziaria sosteneva che la delibera societaria (che esonerava l’amministratore dal rendiconto circa la destinazione delle spese in questione) non sembrava giustificare l’impiego di somme per attività pubblicitarie in favore della società, la quale avrebbe potuto affrontare i suddetti costi senza dovere attribuire specificatamente la relativa somma all’amministratore.
La sentenza
Tanto premesso, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 27646 del 21 novembre 2008, ha accolto il ricorso dell’agenzia delle Entrate, ritenendo che la corresponsione di "rilevanti" somme in favore dell’amministratore di una società, per fini pubblicitari e promozionali, "in mancanza di alcuna prova documentale circa la loro spendita", deve ritenersi posta in essere al solo fine di fare ottenere a costui un risparmio d’imposta.
Di conseguenza, vista l’assenza di prova circa le ragioni economiche alternative a quella "essenziale" dell’ottenimento di un vantaggio fiscale, la Corte ha ritenuto legittimo il disconoscimento degli effetti fiscali degli atti posti in essere dal contribuente e ha considerato l’importo percepito dal ricorrente come "compenso aggiuntivo" a titolo di fringe benefit.
Pertanto, gli atti compiuti dall’amministratore delegato della Spa costituivano "abuso di diritto", ossia operazioni che, se pure valide sul piano giuridico, erano state realizzate "essenzialmente" con lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale.
"L’abuso del diritto", conclude la Corte, inteso come ricorso a forme o strumenti giuridici che, "seppure legali, consentono di eludere il fisco, mediante operazioni non simulate, ma effettuate essenzialmente allo scopo di trarne un vantaggio fiscale, impone di cogliere la vera natura della prestazione e di stabilire l’assoggettabilità ad imposizione in relazione al suo effettivo contenuto".
I giudici di legittimità, uniformandosi all’orientamento già espresso nelle sentenze nn. 8772/2008 e 12237/2008, hanno sostanzialmente ribadito che nel nostro ordinamento tributario "non hanno validità fiscale le operazioni poste in essere dai contribuenti in regime di abuso di diritto", caratterizzate cioè da atti finalizzati primariamente al conseguimento di un risparmio d’imposta.
Come più volte rilevato dalla Cassazione, la nozione di "abuso di diritto" prescinde da qualsiasi riferimento alla natura fittizia e fraudolenta di un’operazione (intesa quale prefigurazione di comportamenti diretti a trarre in errore o a rendere difficile all’ufficio finanziario di cogliere la vera natura dell’operazione) e fa riferimento, invece, a operazioni compiute allo scopo essenziale (e non necessariamente esclusivo) di conseguire un vantaggio fiscale. "Spetta, poi, al contribuente dimostrare che le operazioni poste in essere sono fondate su ragioni economiche di importanza non marginale o teorica rispetto al vantaggio fiscale conseguito".
Francesca La Face – Nuovo Fisco Oggi