Nuove province, vecchie indennità. I nuovi enti che sopravviveranno alla cura dimagrante del governo saranno pure molti di meno di quelli attuali, faranno a meno delle giunte e dunque non avranno assessori da pagare, ma guai a toccare le indennità dei presidenti e i gettoni dei consiglieri. E dire che un’idea in tal senso il governo Monti l’aveva avuta, visto che in una prima bozza dello schema di decreto legge portato ieri sul tavolo del consiglio dei ministri (ma non esaminato) era comparsa una disposizione che sicuramente avrebbe fatto discutere perché trasformava le cariche di consigliere provinciale e presidente di provincia in incarichi «esclusivamente» onorifici che non avrebbero comportato il pagamento di indennità di funzione, gettoni di presenza e «alcuna forma di remunerazione» a meno che il diretto interessato non fosse già sindaco o consigliere comunale. Lo stesso trattamento sarebbe poi stato riservato ai componenti degli organi di governo delle città metropolitane. Ma poi il governo si è rimangiato tutto, visto che nel nuovo testo portato all’attenzione del cdm la norma è scomparsa. Le nuove province diventeranno sì enti di secondo livello, ma, giunte a parte, almeno quanto a costi della politica, continueranno a pesare sui conti pubblici come quelle attuali. Per il resto, scongiurata l’ipotesi di commissariare gli enti intermedi già dall’anno prossimo, Monti scarica sul futuro inquilino di palazzo Chigi la patata bollente della transizione al nuovo regime che, almeno nelle intenzioni iniziali, avrebbe dovuto portare a un dimezzamento delle amministrazioni. Un progetto ambizioso, iniziato col decreto Salva Italia (dl 201/2011), proseguito con la spending review (dl 95/2012) e via via ridimensionato da una lunga serie di eccezioni, distinguo, deroghe e proroghe. E così rispetto al target di 50 province da salvare individuato come ragionevole dal ministro della funzione pubblica Patroni Griffi la scorsa settimana (si veda ItaliaOggi del 23 ottobre), il numero di amministrazioni che si salveranno sarà in realtà maggiore. La bozza di decreto legge (portata ieri sul tavolo del consiglio dei ministri, ma non esaminata) dispensa deroghe a destra e a manca su cui il governo cercherà di trovare la quadra fino all’ultimo, nella seconda parte del cdm che ci sarà oggi. Resteranno in vita Sondrio e Belluno perché bisogna “preservare la specificità delle province il cui territorio è integralmente montano”, così come Arezzo sulla cui popolazione si è scatenata una guerra di cifre: meno di 350 mila abitanti (la soglia minima per sopravvivere) secondo il censimento Istat, più di 350 mila secondo i comuni. Nel dubbio, ha pensato il governo, meglio salvarla. Prato che avrebbe dovuto costituire una maxi provincia con Lucca, Massa Carrara e Pistoia torna all’origina e riabbraccia Firenze confluendo nella città metropolitana del capoluogo. Stessa cosa in Lombardia dove la provincia di Monza-Brianza entrerà a far parte dell’area metropolitana di Milano invece che unirsi a Como e Varese. Costretto ad accontentare tutti, il governo ha dovuto cambiare l’architettura degli accorpamenti faticosamente costruita sulla base delle indicazioni delle regioni. Un’operazione da manuale Cencelli non certo facile tanto che la bozza di decreto ancora non contiene l’indicazione precisa del numero delle province residue e della loro composizione territoriale, evidentemente oggetto di trattativa fino all’ultimo. Il salvataggio di Sondrio e Belluno, per esempio, lascia aperto il problema della sorte dei territori a cui avrebbero dovuto accorparsi: rispettivamente Lecco e Treviso. A rendere ancora più complessa la geografia veneta c’ha pensato Padova che due giorni fa ha votato una delibera chiedendo l’adesione alla città metropolitana di Venezia. Nel progetto originario di Patroni Griffi la città del Santo doveva, invece, essere accorpata a Rovigo. E che dire di Chieti? Il governo avrebbe voluto unirla alla vicina Pescara, ma apriti cielo. Per scongiurare l’infausto destino che “umilia i territori e mortifica una storia millenaria” il sindaco di Chieti, Umberto Di Primio, è piombato a Roma per iniziare lo sciopero della fame davanti a palazzo Chigi. In questo tourbillon di eccezioni, le poche certezze riguardano il battesimo delle nuove province che vedranno la luce dal 1° gennaio 2014. Questo significa che gli attuali organi resteranno in carica fino al 31 dicembre 2013, ma già dall’inizio dell’anno prossimo le giunte, destinate a scomparire quando la riforma entrerà a regime, verranno messe a dieta. Dal 1° gennaio infatti non potranno essere composte da più di quattro assessori negli enti fino a 700 mila abitanti e da sei in quelli con popolazione maggiore. Dal 2014 gli organi di governo delle province saranno esclusivamente il presidente e il consiglio. Niente commissariamento generalizzato dunque. I commissari si insedieranno solo negli enti che da oggi al 31 dicembre 2013 vanno a scadenza (naturale o anticipata) per gestire la macchina amministrativa fino all’insediamento dei nuovi enti. La elezioni per costituire i nuovi organi dovranno tenersi in una domenica compresa tra il 1° e il 30 novembre del 2013. Sarà una legge dello stato a definire le modalità di elezione entro il 31 dicembre 2012. Il consiglio provinciale non sarà più composto inderogabilmente da dieci componenti (come prevedeva il Salva Italia) ma il numero potrà salire a 12 negli enti con popolazione compresa tra 300 mila e 700 mila abitanti e a 16 negli enti con più di 700 mila abitanti. Scompare qualunque indicazione sulle modalità di elezione del consiglio in attesa che sul punto si pronunci la Corte costituzionale chiamata a dirimere la controversia nei prossimi giorni. Nel dubbio che la Consulta possa dichiarare illegittime le norme dell’art.23 del dl 201, la bozza di decreto sopprime l’inciso secondo cui “il Consiglio provinciale e’ composto da non piu’ di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia.I nuovi enti subentreranno a quelli esistenti in tutti i rapporti giuridici. Il passaggio dei dipendenti di ruolo avverrà previa concertazione sindacale. Gli enti potranno fare da sé solo in caso di mancato accordo con i sindacati. Le regioni trasferiranno ai comuni le funzioni già conferite alle province a meno che non decidano di tenerle per sé al fine di assicurarne un esercizio unitario. Le città metropolitane partiranno dal 2014 ad eccezione di Reggio Calabria in cui il nuovo ente debutterà 90 giorni dopo il rinnovo degli organi del comune attualmente commissariato.
Fonte: Italia Oggi