Per la determinazione del reddito finalizzata a verificare lo stato di non abbienza di una persona interessata al patrocinio gratuito, non è ammesso lo scomputo delle eventuali perdite subite dai componenti del nucleo familiare nell’esercizio di un’attività di impresa.
E’ il parere fornito dall’Agenzia con risoluzione n. 387/E del 20 ottobre a una direzione regionale che chiedeva dei chiarimenti sul calcolo del reddito complessivo per il diritto all’assistenza gratuita in giudizio, nel caso in cui l’interessato al patrocinio conviva con altri familiari.
In particolare, il quesito riguardava la possibilità del riconoscimento del beneficio sulla base del reddito effettivo dei soggetti conviventi, nel caso in cui questi esercitino attività d’impresa commerciale ammettendo pertanto, nel calcolo, l’eventuale scomputo delle perdite.
L’articolo 76 Dpr 115/2002 stabilisce al comma 1 che "può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un redito imponibile ai fini dell’imposta personale risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 9.723,84" e al comma 2 che "..se l’interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia compreso l’istante".
L’Agenzia, vista la chiara formulazione di quest’ultimo comma, ritiene che dal reddito complessivo dei familiari conviventi si deducono solo gli oneri elencati nell’articolo 10 del Tuir. Inoltre, come già precisato con la risoluzione 15/2008, è il reddito imponibile ai fini Irpef il parametro di valutazione per accedere all’assistenza gratuita in giudizio.
Eventuali perdite subite nell’esercizio di un’attività commerciale dai familiari dell’interessato al patrocinio gratuito non possono, quindi, rientrare nel calcolo del reddito di riferimento per verificare lo stato di non abbienza.
Patrizia De Juliis