La Ctp di Reggio Emilia ha recentemente affermato, con la sentenza 146 del 17 settembre, che i provvedimenti del "Garante del contribuente" non sono vincolanti per il Fisco. Del resto, non pochi "interpreti" attribuiscono agli atti in questione una natura esclusivamente sollecitatoria, sostanziandosi in semplici raccomandazioni agli uffici, prive non solo di ogni effetto coercitivo, ma anche di qualunque altra funzione diversa dalle semplici opinioni e dal mero sollecito.
In verità, sulle competenze del Garante ci sarebbe molto da discutere. L’attuale formulazione dell’articolo 13 della legge 212/2000, infatti, non permette di definire con la necessaria precisione la competenza e i poteri di quest’Organo. Tuttavia, se è assolutamente da scartare qualunque effetto vincolante degli atti del Garante, è anche certamente da escludere che i suoi provvedimenti siano solo opinioni.
Al sesto comma dell’articolo 13 dello Statuto del contribuente è previsto che "il Garante del Contribuente, anche sulla base di segnalazioni inoltrate per iscritto dal contribuente o da qualsiasi altro soggetto interessato che lamenti disfunzioni, irregolarità, scorrettezze, prassi amministrative anomale o irragionevoli o qualunque altro comportamento suscettibile di incrinare il rapporto di fiducia tra cittadini e amministrazione finanziaria, rivolge richieste di documenti o chiarimenti agli uffici competenti, i quali rispondono entro trenta giorni, e attiva le procedure di autotutela nei confronti di atti amministrativi di accertamento o di riscossione notificati al contribuente".
Al settimo comma è poi stabilito che il Garante "rivolge raccomandazioni ai dirigenti degli Uffici ai fini della tutela del contribuente e della migliore organizzazione dei servizi".
A completare il quadro, il nono comma dell’articolo 13, in base al quale l’Organo "richiama gli uffici al rispetto di quanto previsto dagli articoli 5 (informazione del contribuente) e 12 (diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali) della presente legge".
Una serie di "poteri" che, al fine di poterne stabilire la portata e l’efficacia, vanno collocati nel più ampio contesto delle disposizioni dello Statuto. Infatti, se si pensa a un’attività del Garante del contribuente volta solo a censurare i comportamenti degli uffici (al fine di renderli coattivamente conformi alle leggi vigenti), la si potrebbe giudicare simile a una attività ispettiva o, addirittura, a un’attività che si pone in concorrenza con quella giurisdizionale.
Ma evidentemente non è così.
Qualunque provvedimento del Garante è sempre finalizzato a verificare e mantenere costante il rapporto di fiducia tra il Fisco e il contribuente che, per legislatore ed enti impositori – segnatamente l’agenzia delle Entrate – rappresenta il punto fondamentale su cui improntare ogni attività di prelievo fiscale.
L’attività dell’Organo, pertanto, può essere considerato lo strumento giuridico attraverso il quale accrescere il rapporto partecipativo dei cittadini nel procedimento tributario, attivando l’autotutela nei casi di riconosciuta non debenza del tributo, nonché eliminando gli eventuali comportamenti vessatori, non corretti, oppure semplicemente inutili, della Pubblica Amministrazione fiscale.
Un’attività, quindi, che non si sovrappone a quelle di controllo, istituzionali, già esistenti all’interno e all’esterno di ogni ente impositore, ma che si pone in collaborazione con gli uffici fiscali.
Si noti, ad esempio, che, talvolta, attraverso le segnalazioni ricevute o le iniziative intraprese, il Garante può fare emergere situazioni, magari sconosciute al responsabile dell’ufficio, che possono anche arrecare grave pregiudizio ai cittadini, vanificando, quindi, gli sforzi della Pubblica amministrazione nel campo della trasparenza, della efficacia e della efficienza amministrativa. Il risultato di questa attività, pertanto, è l’aumento della compliance del contribuente, con la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di raggiungere il massimo dei risultati con il minore impiego di risorse.
Alla luce di queste considerazioni, è assolutamente condivisibile la sentenza della Commissione tributaria di Reggio Emilia, che sostanzialmente nega al Garante del contribuente ogni potere sostitutivo nei casi di inerzia dell’Amministrazione finanziaria dello Stato o degli altri enti impositori, o in quelli di irregolarità degli atti da tali soggetti posti in essere.
Non è altrettanto condivisibile, però, l’altra affermazione, secondo la quale gli atti del Garante hanno soltanto una funzione di mero sollecito.
Una interpretazione di questo genere, peraltro, non solo sarebbe assolutamente in contrasto con lo spirito dello Statuto del contribuente, ma risulterebbe anche contraddittoria con lo stesso citato articolo 13, nella parte in cui fa del Garante un Organo di riferimento del Parlamento e del Governo, ai quali è obbligato a riferire annualmente sullo stato dei rapporti tra Fisco e contribuenti, nel campo della politica fiscale.
Qualche perplessità, invero, emerge sempre, non tanto sul concetto di "attivazione dell’autotutela" e sui conseguenti adempimenti dell’ufficio, bensì sulla legittimità di annullamento – da parte dell’ente impositore – dell’atto originariamente emanato, quando contro quest’ultimo il contribuente non abbia, a suo tempo, tempestivamente proposto ricorso in Commissione tributaria. È stato infatti osservato che, se l’ufficio accettasse l’invito del Garante e revocasse la precedente pretesa erariale, si consentirebbe una surrettizia riapertura dei termini per ricorrere, tassativamente previsti, invece, dall’articolo 21 del Dlgs 546/1992.
Una considerazione che, tuttavia, appare non corretta. Infatti, l’articolo 2 del decreto ministeriale 11 febbraio 1997, n. 37, enuncia espressamente i motivi che legittimano l’autotutela, tutti riguardanti ipotesi di sostanziale insussistenza della pretesa fiscale, indicando come unica causa ostativa l’esistenza di un giudicato di merito favorevole all’Amministrazione finanziaria. In questi casi, addirittura, ad avviso di molti interpreti, l’autotutela deve essere operata obbligatoriamente, nella considerazione che l’interesse pubblico che va perseguito non è il mero recupero di somme per l’Erario, bensì la corretta applicazione del principio del prelievo fiscale in base alla effettiva capacità contributiva dei cittadini.
Non si trascuri il fatto che, secondo la recente dottrina e giurisprudenza, contro il diniego dell’autotutela può essere proposto ricorso presso la Commissione tributaria (cfr, ad esempio, la sentenza della Commissione tributaria Lazio n. 365/1/08, depositata il 24/9/2008).
Ecco, quindi, che un comportamento non ispirato da tale principio e un rifiuto ingiustificato del provvedimento del Garante, oltre che risultare nocivo per il rapporto di fiducia tra Fisco e contribuente, può esporre i rappresentati dell’ufficio alla prevista segnalazione al direttore regionale (o al Comandante di zona della Guardia di finanza) per l’eventuale avvio del procedimento disciplinare, nonché alla responsabilità amministrativa verso la Corte dei conti per il danno erariale che potrebbe determinarsi in caso di inutile contenzioso nonostante la contraria opinione del Garante del contribuente.
Salvatore Forastieri