Lo ha stabilito la Corte di cassazione con l’ordinanza 22860 del 3 novembre.
I fatti
L’Amministrazione finanziaria ha negato a un imprenditore il credito di imposta, previsto dalla legge 449/1997, quale “bonus occupazionale”.
In particolare, l’articolo 4 della stessa legge ha previsto agevolazioni fiscali, sotto forma di crediti di imposta, a favore delle piccole e medie imprese operanti in determinate aree dei territori del Mezzogiorno d’Italia laddove siano stati assunti dipendenti con contratti a tempo pieno o parziale aventi durata indeterminata, ovvero con contratti a tempo pieno e durata determinata almeno triennale, nel periodo compreso tra il 1°ottobre 1997 e il 31 dicembre 2000.
Ma con un’eccezione: nessun beneficio spetta (e quindi viene revocato in fase di controllo) se, a carico del datore di lavoro, vengono accertate violazioni che prevedono l’irrogazione di una sanzione superiore a 3 milioni di vecchie lire, pari a 1.549 euro.
Poiché l’entità della sanzione irrogata all’imprenditore era inferiore al tetto previsto dalle norme del 1997 e da quelle successive, l’uomo d’azienda ha impugnato la sentenza di secondo grado (che aveva confermato la revoca del beneficio), facendo leva su tale circostanza.
La tesi, però, non è stata condivisa dalla Corte suprema che ha respinto il motivo di ricorso ritenendo che “il giudice tributario ha accertato che, nella specie, siano state irrogate sanzioni per ‘ipotesi di violazioni della normativa sulla salute e sicurezza dei lavoratori’, in relazione alle quali la disposizione … citata” – articolo 4 – “prevede la revoca delle agevolazioni – sic et simpliciter – indipendentemente dall’entità della sanzione e finanche se trattasi di accertate violazioni formali”.
Osservazioni
La Corte afferma la rilevanza della normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro per la fruizione del bonus occupazione, esaminando, quindi, la fattispecie sottoposta al suo vaglio da una doppia angolazione: quella fiscale e quella lavoristica.
Nell’interpretare la disciplina in tema di agevolazioni fiscali in favore dell’incremento occupazionale, la Cassazione è giunta alla conclusione che deve essere revocato il beneficio del credito di imposta (variabile nel quantum a seconda del tipo di contratto concluso con il lavoratore) al contribuente che commetta violazioni inerenti la sicurezza e salvaguardia della salute del lavoratore nel luogo di lavoro.
Gli adempimenti richiesti per poter beneficiare delle agevolazioni fiscali comprendono, infatti, anche quelli relativi al rispetto delle prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori, come espressamente previsto dal comma 7, articolo 4, legge 449/1997, secondo cui “qualora vengano definitivamente accertate violazioni non formali, e per le quali sono sanzioni di importo superiore a lire tre milioni, alla normativa fiscale e contributiva in materia di lavoro dipendente, ovvero violazioni alla normativa sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori, prevista dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni, commesse nel periodo in cui si applicano le disposizioni del presente articolo, le agevolazioni sono revocate, si fa luogo al recupero delle minori imposte versate o del maggior credito riportato e si applicano le relative sanzioni”.
L’imprenditore, però, ha interpretato la norma nel senso di riconoscere il limite dell’entità della sanzione anche per la violazione delle prescrizioni in tema di salute e sicurezza dei lavoratori. Dalle conclusioni della Corte sembrerebbe, invece, che il limite di 3 milioni di lire operi solo nel primo caso e non anche nel secondo.
Il legislatore, cioè, ha individuato due gruppi di violazioni. Solo per il primo gruppo, concernente le violazioni alla normativa fiscale e contributiva, la disposizione del comma 7 indicherebbe il superamento della soglia sanzionatoria quale presupposto per poter procedere a revoca del credito, mentre nessuna soglia sanzionatoria verrebbe fissata in relazione a violazioni alla normativa sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori, il cui accertamento costituirebbe, da solo, sufficiente motivo per la revoca dell’agevolazione.
I giudici di piazza Cavour, però, nulla dicono in proposito. Probabilmente perché a tale conclusione si perviene facilmente utilizzando un criterio interpretativo letterale e attribuendo alla parola “ovvero”, interposta dal legislatore tra il primo e il secondo gruppo di violazioni che comportano la revoca del beneficio, un significato disgiuntivo forte. Tale interpretazione è desumibile sia dalla presenza della virgola per separare le diverse parti della frase, sia dalla ripetizione del sostantivo ‘violazioni’ non seguito nel secondo caso dalle parole ‘non formali’ (previste, invece, per le violazioni di una certa entità).
Di conseguenza, nonostante le due tipologie di violazioni siano distinte per caratteristiche e per graduazione della sanzione, entrambe determinano l’effetto della revoca dell’agevolazione.
Concorda con l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria anche la Procura generale della Corte suprema, che ha chiesto al Collegio di legittimità di respingere il gravame dell’imprenditore e di confermare la sentenza della Commissione tributaria regionale di Napoli.
Ciò in quanto, poiché il legislatore ha voluto conseguire un incremento occupazionale attraverso un meccanismo premiale (agevolazione fiscale) rivolto ai datori di lavoro, risulta coerente con tale ratio la revoca del ‘premio’ qualora il beneficiario ponga in essere successivi comportamenti (violazioni di legge) che contraddicano lo scopo da perseguire (la creazione di posti di lavoro regolari).
La Corte, infatti, ha concluso che la revoca delle agevolazioni “appare … conforme alla ratio di coniugare la politica incentivante verso le imprese che assumono nuovi dipendenti con la necessità di garantire un livello non minore di tutela per l’incolumità psicofisica sul luogo di lavoro”.
Del resto i successivi interventi legislativi (articolo 4, legge 448/1998, e articolo 7, legge 388/2000), che hanno rimaneggiato i presupposti e le condizioni per fruire dei predetti benefici fiscali, hanno comunque imposto al contribuente l’osservanza delle prescrizioni previste dal Dlgs 626/1994. E, anche con riferimento alle suddette novità normative, la Cassazione ha riconosciuto che “è legittima la revoca del credito d’imposta per i datori di lavoro che abbiano violato le norme sulla sicurezza del lavoro. Infatti, la spettanza di tale bonus discende dal concorso di tutte le condizioni previste dal legislatore …, tra le quali il rispetto delle prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori” (Cassazione, 21968/2010).