Non sempre "la congruità" secondo Gerico salva dai controlli. L’accertamento effettuato dall’Agenzia nei confronti di un contribuente che, solo formalmente, risulta "congruo e coerente" rispetto allo studio di settore di categoria, è più che legittimo quando viene fornita la prova che il software Gerico è stato utilizzato in modo scorretto e quando per gli anni sottoposti a controllo i ricavi risultano notevolmente appiattiti.
Lo ha stabilito la Commissione regionale di Firenze con sentenza 52/35/07, depositata lo scorso 15 gennaio.
La vicenda sottoposta al vaglio dei giudici derivava dall’impugnazione da parte di una società che gestiva un bar di tre avvisi di accertamento, giustificati dall’inattendibilità delle rimanenze di magazzino per mancanza delle relative scritture contabili e dalla constatazione di "significative e continue perdite di esercizio".
L’ufficio aveva, pertanto, ricostruito il magazzino e determinato i reali ricavi in maniera indiretta, applicando al costo del venduto una percentuale di ricarico ponderata rispetto alla tipologia dei beni ceduti e conforme rispetto ad altre attività similari esercitate nella stessa zona.
I ricorsi introduttivi venivano accolti dalla Commissione provinciale con motivazione meramente apparente in quanto dai fatti di causa non apparivano "indizi gravi, precisi e concordanti, emergenti da un magazzino inattendibile e da gravi manchevolezze accertate nelle scritture contabili e nei documenti fiscali".
L’appello dell’Agenzia censurava le sentenze di primo grado, sottolineando che nel caso concreto era emersa "una posizione soggettiva anomala rispetto alla media del settore di appartenenza, anche in ragione della presenza di un indice di sospetta coerenza economica".
Nello specifico, l’attività di bar era esercitata in forma societaria in zona centrale, con personale dipendente, con elevato flusso di clientela e diversificata offerta di servizi e le rimanenze erano state quantificate in modo errato e ciò giustificava pienamente la ricostruzione indiretta dei ricavi non dichiarati.
I giudici fiorentini, riunendo in via preliminare i tre appelli, hanno riformato le sentenze di primo grado, rigettando i ricorsi della società.
Con una motivazione articolata, il collegio ha rilevato come dalla documentazione agli atti del fascicolo processuale emergeva "in maniera chiara ed inequivocabile la prudenza, frutto di un adeguato ragionamento, adoperata dall’Agenzia delle Entrate nella rideterminazione del ricarico ponderato confrontato con quello medio riscontrato nel settore di appartenenza e nella ricostruzione del reddito. Ha utilizzato con tutte le cautele del caso gli stessi dati dell’impianto contabile e gli stessi prezzi forniti dalla società; è stato ottenuto un risultato completamente differente da quello dichiarato … con l’aggravante della inattendibilità delle giacenze di magazzino".
In particolare, sulla correttezza del metodo usato, il giudice ha descritto l’iter logico della ricostruzione, nella quale "sono stati singolarmente considerate fatturazioni pari a poco più di metà del totale degli acquisti, con l’aggiunta delle rimanenze di magazzino per determinare la maggior parte del costo del venduto analiticamente considerato" e "per evitare duplicazioni di ricavi, sommando voci già ricomprese in precedenti sezioni, i beni merce non analiticamente considerati sono stati esclusi dalle precedenti voci".
A ulteriore conferma della prudenza del ragionamento operato dall’Agenzia, il collegio ha evidenziato, riguardo al prodotto maggiormente commercializzato, che "contro la normale dose pari a 6,5 grammi a caffè, a compensare scarti, deperimento e omaggi, sono stati presi in considerazione dosi superiori a somministrazione, pari a 8 grammi".
Quindi, citando a sostegno la sentenza della Corte di cassazione 26388/2005, ha ritenuto che ricorrevano le condizioni per l’accertamento e cioè circostanze gravi, precise e concordanti e percentuali di ricarico derivanti da un adeguato ragionamento.
Paolo Napolitano – Fisco Oggi