A distanza di oltre 10 anni dall’emanazione del "decreto Ronchi" (febbraio 1997) non c’è ancora stato il completo e totale passaggio dal regime della "Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani" a quello della "Tariffa di igiene ambientale". Di fatto si è creato una sorta di "sistema binario", laddove in alcuni Comuni vige ancora il regime Tarsu (Dlgs 507/1993) mentre in altri è già operativa la Tia(1) (Dlgs 22/1997). In più, la stessa normativa in materia di Tariffa è stata riformata (Dlgs 152/2006), prima ancora di essere applicata concretamente, da una norma che non ha, al momento, ancora trovato, essa stessa, concreta applicazione.
Esempio concreto di tale situazione è la determinazione della Tariffa: l’articolo 238 del Dlgs 152/2006, al comma 3, sottrae tale potere ai singoli Comuni e lo attribuisce alle "Autorità di ambito", subordinando, tuttavia, questa nuova competenza all’emanazione di uno specifico regolamento che, al momento, non è stato ancora emanato.
In ogni modo, i decreti legislativi sopra citati forniscono il quadro normativo di riferimento della materia; a essi si deve aggiungere un’altra norma di carattere processuale, l’articolo 2, comma 2, del Dlgs 546/1992(2), che, come si dirà, risulterà essere decisivo in questa analisi.
Natura tributaria o privatistica della Tariffa
Il dettato legislativo non fornisce soluzioni univoche in merito alla natura giuridica della nuova Tariffa. Sotto questo aspetto, infatti, sia la dottrina sia la giurisprudenza di ogni stato e grado hanno fornito interpretazioni discordi, tanto da sostenere, talvolta, la tesi della natura privatistica dell’entrata (sulla base del fatto che l’obbligazione risulta collegata alla fruizione di un servizio reso dal Comune secondo uno schema sinallagmatico), talvolta la tesi della natura tributaria (riconducendo l’imposizione a uno schema coattivo tipico dell’obbligazione ex lege).
La scelta di aderire a una tesi piuttosto che all’altra non rappresenta affatto una mera disquisizione teorico-giuridica, ma, al contrario, il presupposto di partenza da cui muovere per analizzare la conformità e la coerenza dei vari aspetti operativi che ne derivano.
Infatti, dall’eventuale natura tributaria della Tia dovrebbero discendere, quali conseguenze, l’autoritatività del prelievo, la posizione di supremazia dell’ente impositore verso il soggetto privato che si estrinseca mediante la potestà di accertamento e la disciplina sanzionatoria, l’emanazione di atti o provvedimenti amministrativi, le modalità di riscossione delineate da leggi e regolamenti, l’esclusione dall’Iva, la giurisdizione riservata alle Commissioni tributarie con l’applicazione delle regole che disciplinano tale processo (vedi, in particolare, gli articoli 10 e 19 del Dlgs 546/1992).
Se, invece, si propende per la natura privatistica della Tia, in quanto corrispettivo di un servizio, ne dovrebbe discendere il rapporto paritario tra le parti contrattuali, così da far venire meno ogni potestà di accertamento e disciplina sanzionatoria, la mancanza di atti o di provvedimenti amministrativi, l’esistenza di un vincolo sinallagmatico, l’assoggettabilità all’Iva del corrispettivo, la giurisdizione del giudice ordinario, davanti al quale viene portata una fattura, quale comune documento commerciale con cui il gestore chiede il pagamento del servizio reso.
E’ abbastanza evidente, da un lato, la differenza esistente tra le due impostazioni sopra delineate, dall’altro, la necessità di trovare un punto fermo di sintesi tra le varie posizioni per evitare di avere una molteplicità di comportamenti diversi applicati a situazioni analoghe. Molteplicità che ben si può evincere dall’analisi della copiosa giurisprudenza in materia, che ha fornito risposte diametralmente opposte, addirittura all’interno dello stesso Collegio giudicante e a distanza di breve tempo. Dall’analisi di queste pronunce l’impressione che se ne ricava è proprio quella di una quasi totale discrezionalità di giudizio, trovando sempre una sentenza successiva che smentisce quella precedente che, apparentemente, aveva messo la parola fine all’annosa querelle.
Analisi della giurisprudenza di legittimità
Esemplificative(3) di tutto ciò sono due pronunce della Cassazione, emesse nel 2006 a nemmeno un mese di distanza l’una dall’altra, che affermano i due principi opposti. Allo stesso modo, la medesima Suprema corte, con altre due sentenze del 2007, ha prima ribadito e poi smentito alcuni orientamenti, dati in precedenza per certi.
L’ordinanza del 15 febbraio 2006, n. 3274, della Cassazione, a sezioni unite, ha escluso la natura tributaria della Tia, devolvendo la controversia al giudice ordinario, precisando, altresì, la non competenza del tribunale amministrativo "in quanto non vi è dubbio che l’obbligo di pagamento del corrispettivo sorge da presupposti interamente preregolati dalla legge e da atti amministrativi generali, senza che siano riservati alla pubblica amministrazione spazi di discrezionalità circa la concreta individuazione dei soggetti obbligati, i presupposti oggettivi o il quantum del corrispettivo dovuto".
La sentenza n. 4895 dell’8 marzo 2006, anch’essa emessa dalle sezioni unite, è di tenore diametralmente opposto: in materia di Tia, la competenza è delle Commissioni tributarie.
E’ vero che questo pronunciamento tiene conto dell’intervenuta modifica legislativa avvenuta nel dicembre 2005, per cui "il legislatore, superando le incertezze già insorte in materia in dottrina e nella giurisprudenza di merito, ha ricondotto le controversie in materia di TIA nell’ambito della giurisdizione tributaria". Ma è altresì vero che per la Corte "Tale norma si sottrae al sospetto di illegittimità costituzionale sotto il profilo della possibile violazione dell’art. 102 Cost., per inosservanza del limite – richiamato a suo tempo da Corte Cost. 144/1998 – della natura tributaria delle materie attribuite alle commissioni tributarie, indispensabile per non farle ritenere "nuovi" giudici speciali. L’argomento si rivela infatti privo di riscontri, tanto più se si considera che i "canoni" indicati nella disposizione sopravvenuta (senza che acquisti rilievo l’impiego del termine "tariffa", presente anche in materia tributaria in senso stretto; es.: i.v.a., imposta di registro) attengono tutti ad entrate che in precedenza rivestivano indiscussa natura tributaria".
In sostanza, per i giudici, il legislatore, poiché ha attratto in maniera chiara e inequivocabile questa materia nella giurisdizione tributaria, ha voluto chiarire che la Tia ha natura di tributo; per questo motivo, risulta infondata la questione di legittimità costituzionale sopra riportata.
Quest’ultima posizione viene non solo riaffermata ma anche sviluppata ulteriormente nei suoi aspetti operativi da un’altra pronuncia della Suprema corte, la n. 17526 del 9 agosto 2007: "Il giudizio circa una pubblica pretesa costituisce elemento caratterizzante del contenzioso tributario (ordinanza n. 8956 del 16 aprile 2007 delle S.U.). E quando il legislatore colloca un’entrata all’interno del sistema processuale tributario, è da presumere che – in ossequio all’art. 102 Cost., – abbia ravvisato il carattere tributario della pretesa stessa (o comunque una stretta connessione ed assimilabilità della pretesa alla materia tributaria)".
L’articolo 49 ha sì previsto la soppressione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti urbani interni, "ma non sembra che la "tariffa" presenti caratteri sostanziali di diversità, rilevanti ai fini che qui interessano, ri
spetto alla "tassa".
Da qui emergerebbe che "l’entrata in questione ha natura sicuramente pubblicistica, non costituendo, in senso tecnico, il corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta; e rappresentando invece una forma di finanziamento di servizio pubblico attraverso la imposizione dei relativi costi sull’area sociale che da tali costi ricava, nel suo insieme, un beneficio. Ma senza che vi sia sul piano individuale una corrispondenza costi-benefici (evidente è il parallelo con i contributi consortili)… gli atti con cui il Gestore del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani richiede al contribuente quanto da lui dovuto a titolo di Tariffa di Igiene Ambientale hanno natura di atti amministrativi impositivi e debbono perciò rispondere ai requisiti sostanziali propri di tali atti…".
Quando la questione sembrava esser stata delineata con sufficiente certezza, le sezioni unite hanno pronunciato un’altra sentenza, la n. 25551 del 7 dicembre 2007, che, invece, ha riaperto il dibattito.
Partendo, infatti, dalle modalità di copertura degli oneri economici derivanti da un servizio pubblico, la Corte ha stabilito che "il legislatore può sia ricorrere ad una tassa sia utilizzare altri moduli estranei al regime fiscale in un ottica più moderna di defiscalizzazione di taluni prelievi e della loro sostituzione con tariffe, canoni o prezzi pubblici".
Si distingue, pertanto, "tra tassa, da una parte, che condivide la natura tributaria delle imposte, e, dall’altra, canoni (o tariffe, o diritti speciali) e prezzi pubblici, che rientrano nella categoria delle entrate patrimoniali pubbliche extratributarie; distinzione questa che si racchiude in una qualificazione formale prima ancora che contenutistica. E’ il legislatore che assegna ad una determinata prestazione del soggetto che fruisce il servizio la qualificazione di tassa – e così la assoggetta al regime dei "tributi" – ovvero di canone o prezzo pubblico; e costruisce alternativamente il nesso tra entrata pubblica ed erogazione del servizio vuoi in termini di mera paracommutatività (tassa), vuoi di commutatività o di vera e propria sinallagmaticità (entrate pubbliche extratributarie)".
Quindi, una tassa è tale innanzi tutto ove questa qualificazione sia espressamente assegnata dal legislatore a un’entrata pubblica. Ove non risulti siffatta qualificazione, deve ritenersi che il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, abbia optato per un diverso modulo di copertura finanziaria dei costi del servizio pubblico (quello a mezzo delle entrate extratributarie), a meno che non emergano elementi univoci e convergenti, ovvero chiari e inequivocabili, in senso contrario.
Questa ricostruzione ha fornito lo spunto per la risoluzione dell’agenzia delle Entrate n. 250/E del 17 giugno 2008 che, tornata sull’argomento, ha riaffermato la natura privatistica della Tia e, quindi, la sua assoggettabilità all’Iva.
Nel documento di prassi è stata considerata superata la sentenza emanata nell’agosto del 2007 proprio in virtù del ragionamento che porta il legislatore a scegliere discrezionalmente in base al "nomen iuris" dato: in questo caso si parla, infatti, espressamente di "Tariffa" definita addirittura come corrispettivo di un servizio (articolo 238, Dlgs 152/2006).
Fin qui la ricostruzione fatta dall’agenzia delle Entrate; ma se si prosegue nella lettura della sentenza n. 25551/2007 si scopre, ancora una volta, come la chiave di volta di tutto il sistema sia incentrato sull’articolo 2, commi 1 e 2, del Dlgs 546/1992. Si afferma, infatti, che, in base alla suddetta norma "le tasse in generale, in quanto "tributi", radicano la giurisdizione del giudice tributario; invece le controversie aventi ad oggetto i canoni (o tariffe o "diritti") ed i prezzi pubblici sono devolute al giudice ordinario e talora al giudice amministrativo, salvi specificamente i "canoni" previsti dall’art. 2 cit., comma 2. La ragione di quest’ultima eccezionale devoluzione alla giurisdizione del giudice tributario risiede in una qualche connessione con tributi che hanno avuto in passato un similare presupposto: una matrice tributaria che il legislatore, nella sua discrezionalità, ha ritenuto di conservare. Ragione questa che peraltro la giustifica anche sul piano costituzionale stante altrimenti la preclusione derivante dal divieto di istituzione di giudici speciali che non consente una dilatazione della giurisdizione del giudice tributario al di là della materia tributaria".
Da un lato, quindi, è qualificante il "nomen iuris" (sotto questo aspetto sarebbe perciò inequivocabile la dizione di "Tariffa" quale corrispettivo), ma, dall’altro, ci sarebbero delle eccezioni che si fondano proprio su una antica matrice tributaria di alcuni canoni, che deve essere conservata a prescindere dalla loro riqualificazione come corrispettivi di una concessione o di un servizio.
Questa interpretazione, tuttavia, risulta essere forzata sulla necessità di ricondurre la norma in oggetto nell’alveo della sua costituzionalità: la Corte non si pone il problema della natura sostanziale della Tariffa, ma la fa discendere da una norma esistente di carattere processuale che, se diversamente interpretata, sarebbe incostituzionale.
1 – continua
NOTE:
1) Per fornire alcuni dati che riguardano la Toscana, su 287 Comuni soltanto 93 sono passati al regime Tia, un terzo circa del totale. In termini di popolazione, questi 93 Comuni coprono il 64,4% dei residenti nella Regione (dati ricavati dalla XIII edizione del rapporto sui servizi in Toscana da parte della Cispel).
2) Comma aggiunto dal Dl 203/2005, che attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie relative al canone per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
3) Tra le altre pronunce, a favore della natura tributaria della Tia: Ctp Venezia, sentenza n. 5/2004; Ctp Treviso, sentenza n. 87/2004; Ctp Firenze, sentenza n. 47/2006; Ctp Lecce, sentenza n. 528/2007; Tar Veneto, sentenza n. 2010/2005; Tar Toscana, sentenza n. 800/07. A favore della natura privatistica della Tia: Ctp Caserta, sentenza n. 53/2004; Ctp Venezia, sentenza n. 13/2004; Tar Puglia, sentenza n. 492/2007; Tar Sicilia, sentenza n. 52/2008.
Matteo Vagli – Fisco Oggi