La legge 512/1982, nota come "legge Guttuso" o "legge sulla dazione", ha introdotto la possibilità di pagare alcune imposte dirette e indirette mediante la cessione di beni culturali. Si tratta dell’applicazione, nell’ordinamento tributario, di una sorta di datio in solutum o prestazione in luogo di adempimento, disciplinata dall’articolo 1197 del Codice civile, secondo cui il debitore può estinguere l’obbligazione mediante una prestazione diversa da quella dovuta, anche di valore uguale o maggiore, purchè il creditore vi acconsenta.
Lo scopo della legge è quello di conservare e valorizzare il patrimonio artistico nazionale, incentivando l’acquisizione di beni di interesse culturale da parte dello Stato e scongiurando la "svendita" dei privati di opere d’arte a terzi per pagare le imposte.
Considerata, quindi, la finalità della legge, peraltro costituzionalmente tutelata, e visto che i casi noti di un suo utilizzo sembra siano stati soltanto una quarantina, di recente l’agenzia delle Entrate (confortata dalla giurisprudenza) ha fornito un’interpretazione estensiva dell’istituto.
La normativa
L’articolo 28-bis del Dpr 602/1973 prevede per il contribuente la facoltà di pagare le imposte sul reddito mediante la cessione dei "beni culturali" indicati negli articoli 1, 2 e 5 della legge 1089/1939 (ora articolo 2 del Testo unico sui beni culturali). Sono, in particolare, i beni mobili e immobili d’interesse artistico, storico, archeologico, etno-antropologico, archivistico e bibliografico, nonchè i beni individuati dalla legge o in base alla legge come "testimonianze aventi valore di civiltà".
"Beni culturali" sono, inoltre, gli archivi o i singoli documenti dichiarati di notevole interesse storico, nonché le opere di autori viventi (o la cui esecuzione risalga a epoca anche inferiore al cinquantennio) di cui lo Stato sia interessato all’acquisizione.
La procedura è descritta dettagliatamente nel citato articolo 28-bis.
In estrema sintesi, il contribuente (o suoi eredi) deve presentare la proposta di cessione (contenente la descrizione dei beni offerti e corredata da idonea documentazione) al ministero per i Beni e le Attività culturali, che dichiara eventualmente l’interesse dello Stato ad acquisirli. Le condizioni e il valore della cessione sono stabiliti con decreto del ministro per i Beni e le Attività culturali, di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze, sentita un’apposita commissione; entro il termine perentorio di due mesi dall’emanazione del decreto, il contribuente deve notificare la propria accettazione.
Considerato che, in questo caso, la proposta di cessione non sospende il pagamento delle imposte, l’interessato può chiedere il rimborso di quelle eventualmente pagate, oltre che la restituzione, senza interessi, della differenza tra il loro importo e il valore del bene ceduto.
Un’analoga procedura è prevista dall’articolo 39 del Testo unico dell’imposta sulle successioni e donazioni. In questo caso, tuttavia, la proposta di cessione sospende il termine di pagamento delle imposte e, se il valore del bene è superiore, il contribuente non ha diritto al rimborso.
Successivamente, il decreto legislativo 46/1999, estendendo la disciplina relativa alle imposte sui redditi anche all’Iva e alle altre entrate territoriali, ha previsto, in particolare, che "le disposizioni contenute…nell’articolo 28-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, si applicano esclusivamente alle entrate tributarie dello Stato".
Di conseguenza, come precisato dalla risoluzione 43/2002, con la cessione di beni culturali il contribuente può assolvere al pagamento anche dell’Iva.
La risoluzione 347/E del 5 agosto scorso ha ulteriormente esteso, in via interpretativa, l’ambito di applicazione di tale istituto.
In particolare, l’agenzia delle Entrate, rilevando l’esigenza di un coordinamento tra l’articolo 28-bis del Dpr 602/1973 e l’articolo 11, primo comma, del medesimo decreto, ha affermato che l’iscrizione a ruolo dell’imposta "non è una condizione necessaria ai fini dell’applicabilità dell’art. 28-bis in commento".
In via generale, infatti, presupposto essenziale per la cessione di beni culturali è la sussistenza di un debito d’imposta, o meglio che il credito erariale sia certo, ossia individuato in tutti i suoi elementi. Il contribuente, quindi, può, ad esempio, cedere il bene d’interesse culturale anche per il pagamento a seguito di accertamento con adesione.
Un problema di coordinamento di norme, invece, attualmente non risolto, è quello che riguarda l’articolo 39 del Testo unico dell’imposta sulle successioni e donazioni, secondo cui "gli eredi e i legatari possono proporre la cessione allo Stato, in pagamento totale o parziale dell’imposta di successione, delle relative imposte ipotecaria e catastale, degli interessi e delle sanzioni amministrative, di bei culturali…nel termine previsto dall’art. 37 per il pagamento dell’imposta", ossia entro sessanta giorni dalla notifica dell’avviso di liquidazione. Sennonché, l’articolo 11 del Dl 79/1997 ha introdotto, fra l’altro, l’autoliquidazione delle imposte ipotecaria e catastale. Si ricorda, infatti, che tali tributi, in quanto dovuti in misura proporzionale o fissa, richiedevano – in confronto con l’imposta di successione – calcoli meno complessi per la loro liquidazione. L’introduzione della procedura di autoliquidazione in luogo della liquidazione d’ufficio era, quindi, volta, nell’intenzione del legislatore, a ovviare al danno derivante dal ritardo nella riscossione, così assicurando un introito immediato all’Erario.
Pertanto, posto che ai sensi del citato articolo 39 il termine per la presentazione della proposta di cessione decorre dalla notifica dell’avviso di liquidazione, si pone il problema di accertarsi se per le imposte ipotecaria e catastale, ora autoliquidabili, trovi ancora applicazione questa particolare modalità di pagamento.
A ben guardare, si tratta di una questione di natura meramente procedimentale, dovuta, come anticipato, al mancato coordinamento dell’articolo 11 del decreto legge 59/1997 con l’articolo 39 del Testo unico dell’imposta sulle successioni e donazioni.
A tale conclusione, peraltro, è giunta la Commissione tributaria regionale di Firenze, con la sentenza n. 692605 del 12 luglio 2005.
Considerati, quindi, gli stessi orientamenti interpretativi assunti all’agenzia delle Entrate con le citate risoluzioni del 2002 e, più recentemente, del 2008, potrebbe forse essere riconsiderata l’interpretazione letterale dell’articolo 39, secondo cui le proposte di pagamento mediante cessione dei beni culturali possono essere avanzate solo per le imposte, interessi e sanzioni amministrative che siano liquidate d’ufficio (cfr risoluzione del 3 luglio 2001).
Stefania Trocini – Fisco Oggi